Nel 2007, prima di acquistare un gozzo nazionale (imbarcazione da canottaggio a sedile fisso) per la mia società, chiamai Sergio Spina per avere qualche delucidazione.
Chiamai lui per un semplicissimo motivo: quelle barche le aveva progettate lui.
Tra i numerosi incarichi affidatigli infatti, c’è anche quello della Federazione di Canottaggio a sedile fisso, che pensò (se bene o male è un altro discorso) di porre fine all’epopea delle affascinanti e mai vetuste barche di legno.
In effetti, agonisticamente parlando, non se poteva più: con le barche di legno una gara sì e una pure c’era una più o meno piccola discussione, diatriba, in qualche caso anche seggiolata ecc…. (chi c’era se lo ricorda) dovuta alle innumerevoli modifiche idrodinamiche apportate alle barche da gara da parte di mastri d’ascia insuperabili.
Il regolamento del resto era ambiguo, anzi di più; in sintesi: “fate un po’ come vi pare”.
Per cui, nel 1988, la Federazione decise di cambiare registro; in sintesi: “da oggi barche uguali per tutti, in vetroresina, e guai a chi sgarra, Sergio pensaci te”.
Così, quel giorno, nel 2007, lo chiamai e lui mi invitò a casa sua, sul lungomare marinese, per discuterne.
Ci andai due volte nel giro di una settimana.
La prima, perché volevo alcune delucidazioni sulla barca che avrei dovuto comprare.
La seconda, perché ero rimasto abbagliato dagli argomenti toccati (che col gozzo non c’entravano affatto) in quel lungo pomeriggio del primo incontro: caravelle, galeoni, vele e via discorrendo.
Soltanto con un gigante che risponde al nome di Mario Castells mi era capitato di stare lì, a bocca aperta, ad ascoltare ore ed ore, letteralmente rapito dall’enfasi, dalla passione e dalla precisione dei dettagli di quei racconti.
Sergio era un pozzo immenso di scienza e conoscenza, ma non gli piaceva impartire lezioni.
Tutt’altro, col carattere che aveva, si esaltava con il contradditorio.
Sulla forma sorvoliamo; se ripenso ad una banale divergenza di opinioni (sulle pale dei remi se non ricordo male) a quattr’occhi con Piero Uglietta, mi sganascio dalle risate ancora oggi, a distanza di anni.
Sulla sostanza sorvoliamo anche lì, Sergio era Vangelo. Punto.
Poi la barca la comprai davvero, ma dopo qualche anno vicissitudini personali mi hanno costretto a lasciar perdere col canottaggio.
Ogni tanto sfruzzico col telefonino, e per necessità mi tocca rimuovere qualche contatto per far posto in rubrica, avendo salvato tutto sulla Sim.
Il suo numero (fisso, il cellulare all’epoca non l’aveva, non so poi dopo) è sempre lì e non me lo spiego, eppure col canottaggio ho fatto piazza pulita.
Quando scorro la rubrica per cancellare qualcuno, quando arrivo alla S mi scappa un sorriso ripensando alla potenza di quei racconti, e tra me e me dico “vabbè dai, lo cancello la prossima volta….”
Invece no: SPINA non l’ho mai toccato.
Né mai lo toccherò.
Perché ho quattro bambini e devo essere pronto a rispondere alle domande a bruciapelo.
E allora, semmai un giorno un figlio o un nipotino mi chiederà “Cos’è un genio? Fammi un esempio……”, mostrerò orgoglioso il suo nome dalla mia rubrica e saprò cosa dire.
Michele Melis