Caro Sergio,
io non appartengo alla cerchia degli amici di Gian Paolo Soria, purtoppo, ma proprio per questo voglio scriverti queste brevi righe.
Lo conobbi al lavoro quando con i miei soci decidemmo di sondare la possibilità di accedere a fondi per le imprese elbane stanziati dal GAL Etruria. Bastò una telefonata, allora fatta da quelli che ai suoi occhi erano degli emeriti sconosciuti, per ottenere rapidamente un appuntamento. Nulla a che vedere con le odiose anticamere che spesso la Cosa Pubblica ci impone per mano di saccenti e gonfiati dirigenti da quattro soldi.
Una volta là, bastarono la stretta di mano di benvenuto e uno sguardo per capire che avevamo di fronte una persona per bene che di lì a poco avremmo scoperto essere anche un ottimo Direttore, di quelli che si prendono a cura le cose. Si arrovellò con un impegno davvero insolito per cercare tra gli articoli e i commi del bando e del regolamento un qualunque modo per aiutare l’ennesima azienda elbana che gli si era palesata di fronte.
Fu un lavoro inaspettato e per questo ancor più gradito, ma ciò che mi lasciò sorpreso (e quasi dispiaciuto) fu vedere nei suoi occhi una sincera mestizia quando scoprimmo, insieme, che a quei fondi la mia azienda proprio non aveva titolo per accedere. Ma le carte parlavano chiaro e tanto bastava, senza alcuna esasperazione che non avremmo voluto noi così come non avrebbe accettato lui.
Lessi in quegli occhi una grande umanità e al contempo un grande senso di giustizia e di legalità, lo stesso, quasi ‘sacro’, che sempre guidò mio padre avvocato finché era in vita. Spero che Gian Paolo abbia avuto modo di insegnare e tramandare a tante persone questi valori, così belli che oggi ci sembrano persino rari.
Ho deciso di scriverti questa storia perché è un attestato di stima che, come suo amico, credo ti faccia piacere leggere, come credo possa far piacere ai suoi familiari, a cui ti chiedo cortesemente di farla pervenire, non conoscendoli di persona.
Grazie,
Marco