Il risultato elettorale dell’Elba, ha dato delle percentuali da capogiro. La destra sull’isola non è mai stata così forte: il 70% è roba bulgara, non da Toscana governata da sempre dalla sinistra. Credo comunque che gli elettori di destra non siano di colpo diventati tutti dei nostalgici del fascismo o sovranisti o tutti razzisti alla maniera di Salvini. No. La destra ha saputo utilizzare meglio le nuove leve di consenso (social ecc.) e sfruttare in maniera spregiudicata le insofferenze (a volte giustificate) di tanta gente. Però questi numeri debbono far riflettere non solo il PD che rappresenta oramai l’anima di centro sinistra dello schieramento progressista; ma devono riflettere anche coloro che rincorrono ancora il sogno di un grande partito della sinistra dura e pura, simile al mai dimenticato PCI.
La riflessione non può che partire dal PD, il cui progetto iniziale avrebbe dovuto rappresentare tutto l’arco di forze politiche di centro sinistra, ma che alla fine ha solo rappresentato, malamente e in forma decadente, la brutta copia dell’interclassismo di stampo democristiano, incapace di prendere decisioni chiare e nette scontentando conseguentemente tutti. La crisi di identità in cui si è incartato, ha rappresentato la fine di un’epoca, la fine delle sezioni di partito, intese come centro di dibattito e veri motori del consenso elettorale, producendo gruppi dirigenti autoreferenziali, incapaci di promuovere un dibattito politico degno di questo nome. Da comune cittadino, ho avuto l’impressione che problemi rilevanti come la sicurezza dei cittadini, l’aumento dei migranti, l’insufficienza dei servizi sociali, la sanità, l’ambiente, siano stati lasciati in amano alle destre. Qualche convegno e fine. Questa è una politica distante dalle esigenze dei cittadini, non li coinvolge; è una politica da predica, con verità assolute da elargire ai pochi stanchi attivisti over 60. Il PD, a livello nazionale e nelle sue ramificazioni periferiche, si è ubriacato, inoltre, di un vino risultato rancido: personalismi, rottamazioni, contrapposizioni quasi da odio etnico, all’interno degli stessi attivisti di partito. Il “rosso” è stato quasi bandito. Il renzismo ha rappresentato il punto più alto della divisione dei gruppi dirigenti e dell’elettorato di sinistra. Renzi, dopo aver avvelenato i pozzi, se n’è scappato via lasciandosi dietro solo macerie, a sigillo di un progetto politico nato male oltre 10 anni fa. I dirigenti del PD hanno faticato parecchio a capirlo. Riuscirà Zingaretti a bonificare completamente i pozzi avvelenati e dare un senso nuovo alla politica del PD? Da elettore di sinistra me lo auguro fortemente.
La seconda riflessione, ovviamente riguarda coloro (tra cui io) che ancora inseguono il sogno del grande partito della sinistra italiana. Da anni ormai si raccolgono percentuali insignificanti (1.5% - 2%, quando va bene 3,5%). Con questi numeri “il sol dell’avvenire” è destinato a rimanere bloccato nella notte. Non serve a nulla la testimonianza del tempo che fu o la proiezione di un cielo rosso che chissà se arriverà. Come si possono coniugare i valori fondanti del socialismo, i valori di uguaglianza e giustizia sociale all’interno di un’area politica plurale? Nel PCI convivevano uomini molto diversi come Ingrao, operaista e comunista, e uomini come Giorgio Napolitano e Giorgio Amendola, cosiddetti miglioristi; nel Labour del Regno Unito convivono anime troskiste e personaggi più moderati. Insomma, considerata la realtà che ci sta davanti, occorre giocare le proprie carte e confrontarsi con il maggiore partito che, bene o male, sta nello schieramento di sinistra, portando in dote orgogliosamente gli ideali mai sopiti della sinistra, per dare vita a qualcosa di nuovo e di plurale, come sostiene, l’inascoltato, Bersani. Non vedo altre alternative oggettivamente perseguibili.
Salvatore Insalaco