Qualche tempo fa (i primi di aprile) rimasi colpito (e turbato) dalla lettura delle riflessioni di F. Merlo. Dalle pagine di Repubblica commentava l’ultimo ennesimo inchino che i giganti del mare regalano alla laguna e a una delle nostre città più famose nel mondo.
In nome degli interessi economici di un turismo becero e caciarone si continua a concedere il passaggio alle navi da crociera da Venezia. E’ qui, nella città protesa per secoli verso l’oriente del mito, che oggi si fronteggiano, commenta l’autore, due concezioni del turismo alberghiero: quella del superlusso falso che galleggia incurante di dove galleggia e quella del superlusso vero dell’Hilton piantato nella terra imbevuta d’acqua.
Il 6 aprile transita di fronte a Piazza San Marco, facendo tremare le guglie secolari e i candidi marmi della Serenissima, l’ammiraglia della MSC Crociere, la Preziosa. E’ la più grande d’Europa, 333 metri di lunghezza, 68 di altezza, 4345 passeggeri, 1751 cabine, 97 suite, 1 teatro da 1600 posti, 4 piscine, 9 ristoranti e 26 ascensori “per portare Astolfo sulla Luna”. La nave si è fatta città ed è più grande e imponente della Basilica.
Tutto questo per cosa? Per offrire il fascino del proibito ai turisti in ciabatte sguazzanti nelle piscine, increduli e incuranti alla vista di meraviglie d’occidente che affondano le loro radici in un oriente incantato e perduto. Ma che sopravvive in quei marmi incredibili che raccontano ancora, a chi sappia ascoltare, le storie di Marco, Marco Polo. Ma i crocieristi non pensano a questo, come hanno scritto Fruttero e Lucentini “sono una truppa votata al macello culinario”.
La nave si è fatta città, una città senza radici, 140.000 tonnellate che si stagliano dal Canal Grande sommergendo una delle piazze più belle e più desiderate al mondo. La città trema, è una Venezia che muore, parafrasando Guccini, in attesa che il MOSE riesca a salvarla.
Non si possono vietare gli accessi alle mostruosità vacanziero-turistiche come la Preziosa. Dobbiamo attendere la definita realizzazione degli interventi previsti dal MOSE, dobbiamo aspettare le regole d’uso previste dal moderno e complicato sistema di protezione e di funzionamento della città d’acqua. Cosi ci dicono le autorità.
Ma cos’è il MOSE oggi. E’ il simbolo della sistematica, odiosa, tradizione della corruttela. Incredibile! Quelle stesse autorità che dettano le regole prendono le tangenti. Coloro che dovrebbero curare gli interessi pubblici. E noi, poveri ambientalisti ci preoccupiamo degli inchini delle navi, lungo le coste, di fronte ad isole solitarie e deserte, nel cuore di una città martire, meravigliosa e struggente. Il MOSE, ormai pluricontestato da più parti è già costato 5 miliardi di euro.
Trent’anni fa il primo progetto e la spesa è triplicata. Leggiamo le incredibili, ma ormai consuete, notizie dei migliaia di euro versati come tangente. E’ triste assistere a questo tragico spettacolo, in un paese popolato di quaquaraquà.
Marino Garfagnoli