Nei giorni scorsi, il ministro dell’istruzione Stefania Giannini ha firmato una circolare invitando le scuole italiane a celebrare il Giorno del Ricordo, che la legge 92/2004 istituisce per il 10 febbraio ("Giorno del Ricordo in memoria delle vittime delle Foibe, dell'Esodo giuliano-dalmata e delle vicende del confine orientale").
“In occasione di questa giornata - ha scritto Giannini - le scuole di ogni ordine e grado sono invitate, nella piena autonomia organizzativa e didattica, a prevedere iniziative volte a diffondere la conoscenza dei tragici eventi che costrinsero centinaia di migliaia di italiani, abitanti dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia, a lasciare le loro case, spezzando secoli di storia e di tradizioni”.
Da pochi giorni abbiamo celebrato il Giorno della Memoria (27 gennaio, nel ricordo della liberazione del campo di sterminio di Aushwitz) e ancora una volta le istituzioni scolastiche vengono invitate a contribuire – attraverso il ricordo delle vittime di genocidi, massacri guerre – ad accrescere l’avversione alla violenza, il rispetto della dignità umana e la presa di coscienza della comunità nazionale.
Ricordare il tentativo di cancellare in quegli anni la minoranza slovena deve spingerci a riconoscere e contrastare, ovunque, nel mondo e in noi stessi, qualsiasi azione o pensiero teso a emarginare o sopprimere le diversità politiche, culturali, religiose. Solo in questo modo, la memoria si traduce in comportamenti e scelte storiche positive.
Altrimenti, tutto si trasforma in rito vuoto e sterile.
In conclusione, desidero riportare una significativa testimonianza, resa, qualche anno fa, in un incontro con gli studenti toscani a Firenze, al quale presero parte anche gli elbani, dal sopravvissuto ai lager nazisti Boris Pahor (scrittore affermato, autore tra l’altro di Necropolis) il quale raccontò le violenze contro gli sloveni da parte dei fascisti: “Avevo sette anni quando, insieme alla mia sorellina che ne aveva quattro vidi dare alle fiamme a Trieste la casa della cultura slovena e altri edifici vicini. Era il 1920. Lì il fascismo è arrivato prima, è il fascismo “barbaro”, avallato e incitato da Mussolini e coincide con il razzismo antislavo. Inizia così la cancellazione di una minoranza. Vengono chiuse le scuole slovene, proibiti giornali e libri, italianizzati i nostri nomi e cognomi. Noi scompariamo, non ci siamo più. Dal giornale “Il popolo d’Italia” veniamo definiti cimici, perché come le cimici siamo un popolo senza nazionalità. E Mussolini dà l’ordine di far fuori tutti i maschi di questa ‘genia’”.
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Nunzio Marotti, insegnante