Si celebrano quest’anno i 100 anni dall’inizio della prima guerra mondiale. Le iniziative in programma servono per ricordare le vittime di tutte le guerre e rafforzare l’impegno per superare il ricorso alla guerra quale mezzo di risoluzione delle controversie. Un percorso, questo, sostenuto dall’art. 11 della Costituzione italiana.
Pertanto, ogni celebrazione dovrebbe iniziare con un silenzio rispettoso per tutte le vittime delle guerre e proseguire con il fermo proposito di dire NO ad ogni guerra che, come quella di cento anni fa, è sempre “un’inutile strage”.
Eppure, ancora oggi c’è chi richiama la necessità della guerra per “risolvere” vecchie e nuove emergenze. Appare chiaro come – al di là delle motivazioni geopolitiche o ideologiche – i grandi sostenitori (promotori) del ricorso alle armi siano coloro che… le producono e le vendono. La divinità imperante, il denaro-profitto, governa il mondo e nella sua insaziabile fame divora esseri umani senza osare di incrociare gli occhi delle vittime. Come anche papa Francesco ha ricordato nel suo discorso al sacrario di Redipuglia il 13 settembre dello scorso anno. Del resto, l’attuale sistema mondiale, caratterizzato da profonda ingiustizia, per sopravvivere deve fare la guerra!
La complessità dei problemi mondiali e regionali richiede un surlpus di politica che alimenti la diplomazia, il confronto e la cooperazione. E’ questo che può togliere forza alle ragioni della violenza e ridurre lo strapotere di un’economia slegata dall’etica e dalle regole.
“La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”, recita l’art. 52 della nostra Costituzione. Non si può ridurre la difesa al solo uso delle armi. L’ordinamento delle forze armate deve, secondo Costituzione, informarsi allo spirito democratico della Repubblica. Ma come “patria” è realtà molto vasta (non limitata ai soli confini o agli interessi italiani all’estero, come sostiene il nuovo modello di difesa), così “difesa” ha un significato ampio. Per esempio, difende la patria chi ogni giorno è fedele alla Costituzione e agli impegni assunti con la società, chi responsabilmente svolge il suo ruolo onestamente, chi aiuta le giovani generazioni a crescere in umanità, chi solidarizza con quanti fanno più fatica a vivere quotidianamente, chi si impegna a rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo e l’esercizio dei diritti di singoli e categorie di persone… e così via.
Ma difesa implica anche un impegno attivo che finora – almeno in Italia – è stato interpretato solo militarmente. Questo perché non è mai stato avviato un serio e costante percorso di ricerca sulla difesa popolare civile e non armata. E’ rimasta inascoltata la voce di protagonisti della nonviolenza (Aldo Capitini, Danilo Dolci, Primo Mazzolari, Lorenzo Milani, Lanza del Vasto, Ernesto Balducci, Tonino Bello e altri) e soggetti politici (Movimento nonviolento, Mir, Pax Christi…).
Proprio in questi giorni qualcosa si sta muovendo in Parlamento. E’stata presentata, infatti, la proposta di legge popolare “Istituzione e modalità di funzionamento del Dipartimento della Difesa Civile non armata e nonviolenta” sottoscritta da oltre 50mila cittadini. Come qualcuno ricorderà, alcune di queste firme sono state raccolte a Portoferraio. Si chiede che venga riconosciuta a livello istituzionale una forma di difesa alternativa a quella militare denominata “Difesa civile non armata e nonviolenta”, quale strumento di difesa che non comporti l'uso delle armi ed alternativo a quello militare e, soprattutto, con funzioni preventive (con i Corpi di Pace, che sono previsti dalla finanziaria del 2014). E' possibile trovare il testo completo http://nunziomarotti.blogspot.it/2015/05/il-sogno-realizzabile-di-una-difesa.html?view=classic . Non mancano esperienze e letteratura sull’argomento.
C’è da augurarsi che i parlamentari (in particolare l’intergruppo per la pace) esercitino il diritto-dovere di valutare scelte legislative che aiutino i processi di pace e di cooperazione internazionale, chiedendo anche il rafforzamento del ruolo delle Nazioni Unite.
Negli ultimi anni, questi temi sono rimasti ai margini del dibattito politico e sociale. Altre sono sembrate le emergenze. Si potrebbe facilmente obiettare che si tratta di sogni, di utopia.
Personalmente non mi sembra un’accusa che depotenzi questa realtà: senza utopie (e sogni) l’umanità non avrebbe avuto progressi.
Piuttosto c’è da chiedersi se non sia proprio una rafforzata cultura di pace (nonviolenza, rispetto, dialogo a vari livelli) a creare i presupposti per affrontare in modo “inedito” necessità e problemi.
Nunzio Marotti