Giovedì sera 10 Dicembre 2015, ore 21.30 Teatro napoleonico dei Vigilanti a Portoferraio serata in memoria di Giuseppe Catanzaro detto "Trick" con la partecipazione straordinaria di Mario Schilirò (chitarrista di Zucchero) che si affianca alla Regoli Band: Luciano Regoli (voce), Walter Martino (batteria), Mario Schilirò (chitarra), Pierangelo Venturini (basso). Oltre alla Regoli Band si esibiranno i gruppi elbani Ansoniha, Andrea Mosso, Skapestrati, Quartinodivino. Vi aspettiamo per una serata all'insegna del Rock '70. Il ricavato sarà devoluto in beneficienza a quattro associazioni elbane: la Misericordia di Portoferraio, il Santissimo Sacramento, la Croce Verde e l'associazione Elba No Limits. Ingresso 10 euro.
Ricordo di "Trick" di Luciano Regoli:
Roma 1969.
Ero diventato amico di un certo Trick, venuto dal nulla dell’Africa, scacciato dal colonnello Gheddafi, approdato come me in quello schifo di quartiere.
Trick era un tipo da tenere in considerazione. Alto, snello, vestito eccentrico, fumava Lucky Strike, e non aveva mai una lira in tasca. Però mi era simpatico, e prevedevo un futuro piuttosto divertente con lui e decisi di farne l’amico del cuore.
Di certo non mi sbagliavo se a un certo punto ci trovammo vestiti come gli altri non avrebbero mai azzardato, con una chitarra in mano, e a sbraitare canzoncine pop-rock (ma subito dopo psichedeliche) nelle feste fra amici.
La nostra inclinazione (saltò subito agli occhi di tutti) erano le meravigliose bambine che cercavamo in tutti i modi di sgraffignare agli altri. E ci riusciva! Decidemmo che questa erta la nostra vera vocazione e a questo ci votammo.
Trick era veramente affascinante se voleva. Si presentava a volte vestito come un menagramo, con un cappottone nero lungo lungo, e un cappello da megera a falde larghe nero anche quello, ma con uno sfolgorante e coloratissimo foulard che lo cingeva e gli scendeva sulle spalle per almeno un metro. I pantaloni potevano essere di velluto liscio rosa attillatissimi, con una campana vertiginosa che nascondeva tacchi alti quasi quattro dita di uno stivale di pelle multicolore. Che spettacolo!
Mi faceva incazzare che vestisse così fantasticamente, e anch’io cominciai ad andare in giro vestito come un semaforo. Al nero rispondevo con un completo camicia e pantalone attillatissimo di velluto rosso fuoco, stivali multicolori a tacco alto e capelli almeno fino al culo. Vestiti in quella maniera non potevamo certo resistere più di qualche ora nel nostro quartiere dove a tutto era stata data una mano di grigio, e così decidemmo la conquista di Roma.
Complice il liceo artistico che intanto avevo iniziato a frequentare, più per le ragazze disponibili che per il resto, feci da apristrada per conoscere un mondo, o mondi, direi piuttosto, che per dei borgatari come noi sarebbero stati preclusi. In poco più di un anno lasciammo i nostri vecchi amici al loro destino, e ci trovammo a suonare nei più bei club underground di Roma, dove in effetti fighetti come noi, spuntavano come funghi.
In Italia quel movimento di giovani così strani e colorati, era arrivato come al solito con qualche anno di ritardo rispetto ai nostri fratelli d’oltremanica, e anzi prima ancora d’oltreoceano. Se la loro era stata un’esigenza profonda di scelta di vita coraggiosa, a causa delle condizioni socio-politiche, da noi arrivò come una moda direi, soprattutto per chi come noi s’interessava di musica e non di politica. Comunque fattostà ce ne fregavamo alla grande! Ci divertivamo un sacco, e questo era l’importante.
Un bel giorno di maggio arrivò Jimi Hendrix al teatro Brancaccio a Roma per due concerti: pomeridiano e serale.
Trick arrivò al teatro vestito come un’anziana signora. Aveva rubato la camicetta a pois bianca e nera alla mamma, che ora faceva “pendant” con il cappellone da strega e i soliti jeans attillatissimi di velluto rosa. Non ci pareva vero vedere Hendrix dal vivo. La sala era stracolma, sotto e sopra. Centinaia di casse SEMPRINI per la voce erano dislocate in tutto il teatro: da far tremare i muri. Quando il sipario era ancora chiuso pochi istanti prima dell’avvio, due stivaletti giallo canarino spuntarono da sotto e sulle note di “Fire”, un muro di suono portato da decine di amplificatori Marshall, spostò l’aria, e le strutture della galleria ondeggiavano e sussultavano.
Quei tre diavoli uccidevano i loro strumenti, tormentandoli, e Hendrix si avventava continuamente contro gli amplificatori per sfondarli. Suoni lunghi e lancinanti uscivano dalla “Stratocaster”; tutto era colore: loro, il teatro, noi, le luci. Non si capiva più niente e il potere del suono mandò in visibilio il pubblico.
Chi aveva mai visto una cosa del genere! Quello zingaro era un marziano.
Trick aveva i grandi occhi neri bagnati dalla commozione (lui era fatto così!) E quando Hendrix due anni dopo morì, arrivò a casa mia stravolto e piangente dicendo: “E’ morto Jimi!”. Era suo fratello! Comunque ci nascondemmo a concerto ultimato nei bagni del teatro per tre ore, e alle dieci eravamo in prima fila a goderci il secondo round, che fu più travolgente del primo.
Fece un blues che credo fosse “Red house” e mentre il volume degli strumenti era quasi a zero e l’atmosfera tesa e molto “bluesy”, dal silenzio un coatto gli rimandò: “A Zingaro!” Per contro Hendrix alzò la chitarra al massimo e gli ruggì un assolo che ancora se lo ricorda.
Era meraviglioso! Il solo ricordo mi scalda il cuore e mi fa sperare, ma poco, in un mondo migliore.