Le recenti elezioni amministrative hanno riacceso i riflettori sulle rappresentanze femminili nelle varie giunte, già espresse o comunque presunte, alle cariche politiche.
Affrontando la questione in termini giuridici, abbiamo almeno un paio di fonti che si occupano di disciplinare il principio di parità tra uomo e donna: la legge 56/2014, che prevede che “nelle giunte dei Comuni con popolazione superiore a 3.000 abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40%”, e l'Art. 23 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europa del 2000, tecnicamente vincolante in seguito al Trattato di Lisbona del 2007 e sostanzialmente inosservato, che dichiara “la parità tra uomini e donne deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione. Il principio della parità non osta al mantenimento o all'adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato”. Questo dice la legge e questo è quanto gli apparati statali sono obbligati a fare, pena la possibilità che la giunta stessa sia dichiarata illegittima in caso di ricorso.
Personalmente, nutro delle profonde perplessità sull' effettiva funzionalità di questo strumento normativo in termini emancipatori e garantisti: tutelare la parità di genere all'interno degli organi rappresentativi poteva avere un senso in epoche democraticamente più deboli, ad oggi lo trovo anacronistico e lesivo della meritocrazia, questione urgente ed emergente, intese nella loro piena accezione negativa e di pericolosità.
La questione va quindi affrontata in termini più moderni, anche tenendo conto dell'evoluzione stessa del macro contenitore socio-culturale “identità di genere”. La triste realtà nazionale e locale, è che non esistono pari opportunità di partenza, ed è questo il principale ostacolo per arrivare all'auspicata ma ancora ben lontana parità di trattamento, in politica, nell'ambiente lavorativo, sociale e domestico.
Quale soluzione? La di-sgraziata querelle preelettorale capoliverese, nella sua forma discutibilmente legale, legittima, ed opportuna, ha sicuramente contribuito a far emergere una necessità: è sempre maggiore ed improrogabile il bisogno di affrontare in termini pedagogici, sociali e politici le questioni di genere, questioni che sono interdipendenti alle pari opportunità, o come ho recentemente anche io iniziato a dire, alle opportunità paritarie.
Mi auguro che le neoelette e prossime all'insediamento giunte elbane si adoperino concretamente per proporre delle serie ed efficaci politiche paritarie e inclusive, al fine di abbattere gli ostacoli sostanziali che a tutt'oggi concorrono nel rafforzare gli sterotipi sessisti, vere e proprie barriere alla piena godibilità dei diritti personali, nonché pericolosissimi, insidiosi e silenti carburanti per la discriminazione e i crimini di matrice sessuale, come l'omotransfobia e il femminicidio. A fronte di un'emergenza sociale su scala globale e di cui l'isola non è indenne, confido nella pronta attivazione di interventi volti a diffondere, sostenere e tutelare i diritti delle persone tutte, per un' effettiva parità di trattamento, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale e dalla propria identità di genere.
Linda Del Bono