E' giunto alla 48^ edizione il Premio letterario internazionale Isola d’Elba - Raffaello Brignetti. La pandemia non ha avuto conseguenze sull'organizzazione del ConCorso ed è stata anche fissata la data della cerimonia di premiazione che si terrà sabato 12 settembre a Portoferraio.
La giuria letteraria, presieduta dal prof. Alberto Brandani ha indicato la terna finalista da cui emergerà il vincitore 2020. Le tre opere sono ora al vaglio dei giudici lettori che esprimeranno il proprio voto entro il prossimo 22 agosto.
La terna è stata presentata nella sala consiliare di Portoferraio alla presenza dell’assessore alla cultura, Nadia Mazzei, del presidente della Giuria letteraria, Alberto Brandani, e del presidente del Comitato promotore, Giorgio Barsotti.
Le tre opere prescelte sono:
Roberto Ando’, Il bambino nascosto, La Nave di Teseo (pp. 221, euro 17)
Emilio Gentile, Quando Mussolini non era il Duce, Garzanti (pp. 393, euro 20)
Gian Mario Villalta, L’apprendista, SEM (pp.228, euro 17).
<<E' stato – ha detto il presidente Brandani - un lavoro molto proficuo e ringrazio tutti i colleghi della Giuria letteraria per i numerosi scambi di idee, la disponibilità personale, il recepimento di valutazioni anche diverse che hanno consentito di individuare una terna di nomi di qualità e di spessore culturale. Anche in questo caso i tre finalisti del Premio Elba-Brignetti 2020 esemplificano bene lo spettro di potenzialità che la letteratura ci offre>>.
Il bambino nascosto
Roberto Andò scrive un romanzo con il quale esprime la convinzione che l'alternativa è sempre possibile. Anche se talvolta difficile e dolorosa. Una storia di riscatto nel popolare quartiere di Forcella a Napoli, dove la camorra sembra avere il controllo su tutto. Il maestro di pianoforte, Gabriele, scapolo, è chiuso nelle sue abitudini e nei riti quotidiani. E una mattina avviene l'imprevedibile: nel suo appartamento si rtirova Ciro, un bambino di dieci anni, impaurito e fuggiasco. E' il figlio di un affiliato ad un clan che abita nello stesso palazzo. Ed è ricercato perchè ha compiuto, anche se non direttamente, uno sgarro, ferendo durante uno scippo l'anziana madre del boss del quartiere. Dopo non poche difficoltà, tra Gabriele e Ciro si sviluppa un rapporto che fa crescere sia il bambino che il professore di musica. Quest'ultimo scopre una sorta di paternità, fatta di protezione e di dialogo educatico con il bambino. Scopre in Ciro delle doti musicali che, se fossero state coltivate, avrebbero potuto rappresentare per il piccolo una via di impegno, comunque diversa, e probabilmente lontana dal mondo criminale. Anche in questo libro emerge la forza dell'amore, capace di superare indifferenza e menefreghismo, paure e inerzie. L'amore che, oltre a contrastare il male, si oppone straordinariamente alla rassegnazione (espressa con frasi quali <<e che ci dobbiamo fare, questa è la vita>> o, come diceva Edoardo, <<è cos' e nient'>>) che è un male ancora peggiore. L'uomo, insomma, ha sempre una possibilità di libertà per affermare la propria coscienza e i valori in cui crede davvero. E così Gabriele sceglie di coinvolgersi, e lo fa fino in fondo. Un tema particolarmente interessante è il confronto fra la giustizia (espressa compiutamente dal fratello di Gabriele, magistrato in carriera) e la misericordia, con il riferimento ad Antigone che, per la pietà che deriva dalla sua coscienza, disobbedisce a Creonte (<<Non sono nata per condividere l'odio ma l'amore>>). Infine, ben collocati i dialoghi in napoletano aiutano a far respirare il clima della Napoli popolare.
Quando Mussolini non era il Duce
Quando Mussolini non era il Duce è un libro di storia, <<scritto – precisa l'Autore – con il metodo dello storicismo>>, che affronta gli anni dell'impegno politico di Mussolini che vanno dal 1902 al 1919.
Il Mussolini che si delinea nella ricerca è l'uomo che vive la sua individualità e che alla fine crede nella necessità storica di tornare all'individuo.
Ma come M. era arrivato a definirsi, nel 1919, perfetto cinico e insensibile a tutto quanto non fosse avventura?
Sette anni prima, a soli 28 anni, decide di raccontare la sua vita per ricomporre la tela del suo destino. Giovane avventurso, affascinato dal nomadismo, con un'intelligenza sveglia, una forte memoria ma indisciplinato e disordinato. Desideroso di primeggiare ma attratto in certo modo dalla solitudine assoluta. Socialista di famiglia, maestro e giornalista politico, più volte arrestato (per vagabondaggine, per organizzazione di scioperi) ed espulso, frequentatore di biblioteche e divoratore di libri, M. amava vivere alla giornata e, nel 1912, annotava: <<Io sono un irrequieto, un temperamento selvaggio, schivo di popolarità. Che cosa mi riserva l'avvenire?>>.
Emilio Gentile dedica un capitolo ad ognuno di questo tratti di M.: il rivoluzionario, l'interventista, il combattente, il vincitore, <<l'uomo del dopo>>, il politico che propone una Costituente e poi il fascista e lo sconfitto alle elezioni del 1919. Dopo questa esperienza, a 36 anni, M. si chiede nuovamente cosa gli riserverà il futuro. Un futuro che affronterà con la parola d'ordine <<navigare necesse, che per noi significa battagliare. Contro gli altri, contro noi stessi>>. E' una visione che considera antidogmatica: <<Noi detestiamo dal profondo tutti i cristianesimi, da quello di Gesù a quello di Marx, guardiamo con simpatia straordinaria a questo "riprendere" della vita moderna, nelle forme pagane del culto della forza e dell'audacia>>. Una visione che conduce alla battaglia decisiva: <<Ritorniamo all'individuo. Appoggeremo tutto ciò che esalta, amplifica l'individuo, gli dà maggiore libertà, maggiore benessere, maggiore latitudine di vita; combatteremo tutto ciò che deprime, mortifica l'individuo>>.
C'è da chiedersi quanto l'esito totalitario del fascismo-regime sia in qualche modo premesso nel periodo raccontato nelle quasi 400 pagine del libro. Gentile risponde che <<l'ascesa di Mussolini e del fascismo al potere non fu il risultato della volontà di un uomo o di cause inevitabili e ineluttabili. Si dice che la natura non fa salti, ma la storia, opera dell'uomo, talvolta compie salti catastrofici improvvisi e imprevedibili>>.
L'apprendista
Il romanzo di Gian Maria Villalta è ambientato in un piccolo paese del nord est. Le vicende di questo paese emergono dai dialoghi tra Fredi, il sacrestano ottantenne, e Tilio, il suo apprenditsa settantaduenne, due persone che si fanno compagnia sorseggiando caffé con vodka. Luoghi principali del romanzo sono la piccola chiesa e la sacrestia. L'amicizia li porta progressivamente a conoscersi e a confrontarsi su importanti temi della vita e soprattutto a condividere i loro vissuti. Vicende personali e paesane ricche di personaggi, quelli femminili, fra cui le spose Simona e Irma e la badante Veronika, e quelli maschili, in particolare Paolo, figlio di Tilio. E poi i preti don Livio e don Lorenzo, il mendicante Sigagno. Lo scorrere delle pagine ci mostra l'itinerario difficile dell'accettazione di sé e delle proprie scelte, a volte sbagliate, della socialità non superficiale (l'amicizia come arricchimento dell'esistenza, ricordando Aristotele) e della ricerca del significato dell'esistenza. Belli su quest'ultimo punto i riferimenti al Vangelo e alla fatica di comprenderlo, tentati sempre da letture accomodanti. E significativa è la ricerca della <<letizia del cuore>> che Tilio collega alla compassione, al prendersi cura dei bisognosi e che condensa nella frase che diventa il suo imperativo categorico: <<voglio servire, non si può vivere senza servire a niente>>.
Come non ricordare qui la via indicata qualche giorno fa da papa Francesco a chi desidera essere profeta e trovare la pace: <<Mettiti al servizio e taci!>>. Attraverso questo romanzo Villalta sembra mostrarci la strada per non perdere la nostra umanità: imparare ed esprimere l'amore, per sé e per gli altri, attraverso la condivisione e la compassione.
Nunzio Marotti da Toscana Oggi