La dottoressa Mariagrazia Vona è counsellor presso un istituto formativo a Milano. Navigando su internet, qualche settimana fa, ha scoperto il sito del circolo Pertini dell'Elba e ha visto lo spazio chiamato “Progetto Memoria” , in cui si parla anche di Giuseppe Massimo, Comandante del porto di Portoferraio dal 13.10.1941 al 16.9.1943. E guarda caso suo padre le ha parlato di una vicenda isolana di eroi che dettero il via alla Resistenza, legata quindi alla fase finale della seconda guerra mondiale. La psicoterapeuta ha voluto ricostruire un'importante vicenda storica, con protagonista il padre e Massimo, al quale è stato dedicato il nome del molo centrale del porto, visto che si oppose ai nazifascisti fino a rimetterci la vita. Ma alla luce di questa testimonianza si capisce come anche al sottufficiale Vona, romano di nascita, la città di Portoferraio deve essere riconoscente.
Questo lo scritto rivolto ai dirigenti del Circolo Pertini:“Sono la figlia di Rodolfo Vona, sottufficiale di Marina che nel 1943 era segretario del comandante del porto Giuseppe Massimo, per il quale mio padre aveva una enorme stima e venerazione. Dopo le bombe tedesche del 16 settembre del 1943, che portarono morte e distruzione a Portoferraio, ci fu l'invasione tedesca e mio padre, negli uffici della Marina alla Linguella, distrusse tutti i documenti identificativi dei militari in servizio e di quelli di nuova leva, per evitarne l'identificazione e l'arresto e la deportazione nei lager tedeschi“. Quindi Vona ha in pratica salvato decine di vite umane, mentre ci fu il classico “Si salvi chi può” perché la difesa dell'isola era a quel punto del tutto crollata e i militari volevano evitare di essere catturati dai nazisti. “Nella stessa giornata -prosegue il racconto della donna– mio padre prese due impermeabili civili, in grado di nascondere le divise, uno per sé e uno per il comandante Massimo, che però non voleva muoversi dal suo ufficio. Ma Rodolfo, mio padre, come mi ha poi narrato, riuscì a scuoterlo e lo spinse verso una barca a motore recuperata e fuggirono inseguiti dai colpi di mitraglia tedeschi. Riuscì a portarlo in salvo in casa di una anziana signora nella costa dei Mangani, la quale aveva una villa sul promontorio. Mio padre organizzò, nei giorni successivi, l'imbarco per il continente del comandante Massimo, con l'aiuto di un pescatore che aveva anche procurato quel nascondiglio, che Giuseppe abbandonò per incontrare la famiglia a Firenze. Una scelta che poi risultò fatale, perché venne catturato, deportato in un lager e poi ucciso. Mio padre rimase alla macchia all'Elba sacrificandosi, perché prima della sua veniva la salvezza del comandante, finché non riuscì a tornare in continente e si unì alla 52 esima brigata partigiana a Dongo, e prese il nome di Varo. Mio padre è morto ormai da dieci anni all'anniversario della scomparsa mi sono sentita di fargli questo regalo rendendo omaggio al "suo" comandante e a lui, eroe nascosto e coraggioso”. Un episodio significativo quello narrato, e sempre nel sito del “Pertini” anche il portoferraiese Mario Castells ha detto di tale vicenda.
Il Circolo Pertini dell'Elba ha ringraziato della testimonianza che arricchisce il “Progetto Memoria” dell'associazione, che ha mosso i passi nella scuola media Pascoli, e dal 2004 si impegna in attività culturali rivolte ai giovani e per far conoscere il legame tra il compianto Presidente della Repubblica, con l'Elba e Pianosa. L'avvocato socialista, antifascista, fu recluso politico nelle due isole dal 1931 a 1935 e subì a Portoferraio anche un processo nel 1933.