“Vergin di servo encomio e di codardo oltraggio”, diceva il Poeta –sia consentita la citazione nell’ambito delle celebrazioni del bicentenario della presenza di Napoleone all’Elba-, propongo una breve riflessione sulle trascorse elezioni europee e amministrative.
Non mi piace Matteo Renzi: sono lontano dalla sua cultura (per quella che è), dalle sue idee, dai suoi modi, dai suoi progetti, dai suoi atti di governo, dalle persone di cui si circonda; mi pare che appartenga a una tradizione molto democristiana della politica e soprattutto del governo, che non ha respiro, che ha orizzonti strettissimi, che procede cambiando le forme senza toccare le sostanze –e la sostanza che più mi preme, cioè l’enorme divario fra i pochissimi più ricchi e il resto del mondo, fino ai più poveri-. Ma credo che non dipenda tanto o solo da Renzi, quanto da me, che non sono più tanto capace di modificare il mio modo di ragionare adeguandolo alle mutazioni intervenute nella società dopo gli ultimi vent’anni. Il leader del PD, lo si è notato e detto da più parti, è l’aggiornamento del modello Berlusconi, come lo è a suo modo Beppe Grillo: si fanno vanto di non avere una storia alle spalle, di non avere riferimenti (Renzi ha ricordato il viaggio di Giorgio La Pira –fino a poco prima sindaco di Firenze- a Hanoi nel 1965, creando un ideale parallelo con la sua visita: ma La Pira era nella capitale del Vietnam del Nord per invocare una pace senza “prudenza”, rompendo schemi consolidati di schieramenti e alleanze, e non per cercare investimenti; e quando fu necessario intervenire a favore degli operai in difficoltà non esitò a requisire case e fabbriche (1953), che è cosa diversa da una giustizia distributiva fatta di testimonianza personale e di interventi di ‘moralizzazione’ pubblica, senza però toccare i livelli strutturali dell’ingiustizia distributiva). Renzi e Grillo dichiarano con orgoglio di essere il nuovo, come se bastasse dir questo per cambiare il mondo, che invece è vecchio e fatto come un secolo fa dalle “Sette sorelle” che ora sono forse anche otto o nove o più; che è giocattolo nelle mani di una finanza impersonale, disastrosa e capace ormai solo di trovare per sé il modo di sopravvivere, a ogni costo.
Eppure lo hanno fatto, stanno facendo, un prodigio: hanno spazzato via il mondo politico, la cultura del potere, gli assetti di controllo sociale che hanno obiettivamente bloccato la società italiana per gli ultimi quaranta o cinquanta anni: e qui è la loro assoluta differenza da Berlusconi, che tutto questo ha cercato di conservare piegandolo al suo personale interesse negli ultimi venti. Il Popolo Sovrano l’ha intuito, e li ha premiati: di più Renzi, che garantisce un passaggio morbido senza sconvolgimenti, più rassicurante per l’indole conservatrice degli italiani; un po’ meno Grillo, che raccoglie la protesta più viscerale, e anima un progetto a suo modo populista-rivoluzionario, curando con attenzione di non avere riferimenti alla storia dei movimenti popolari della tradizione.
Renzi sta progressivamente facendo fuori anche l’apparato del glorioso partito comunista formatosi e formato in quasi un secolo di storia, e che il secolo di vita lo dimostra tutto. Dove quest’ultimo fa ancora resistenza –per tutti valgano i casi di Perugia, Livorno, e per quel che ci riguarda Portoferraio e Rio nell’Elba- gli elettori di sempre lo abbandonano, magari non andando a votare; dove si presenta una compagine nuova, senza storie e senza pacchetti di potere, volentieri le affidano la speranza di vedere che finalmente qualcosa cambia (questo, sia detto per chiarezza, al di là della qualità dei singoli –penso a Ruggeri e a Cosetta Pellegrini, persone stimabilissime-). Da noi singolarmente importante è il caso di Campo nell’Elba, dove il giovane sindaco Lorenzo Lambardi e il suo composito gruppo hanno annientato gli apparati politici e di potere che avevano governato il Comune da sempre –salvo il mandato del sindaco Pertici, che aveva tentato di scardinarne gli assetti, incontrando il favore di molti concittadini e la fiera opposizione dei notabili emarginati, per finire a sua volta sacrificato alle mediazioni e ai compromessi-; si sono imposti con numeri impressionanti, forieri di speranze che possa nascere un’azione di governo finalmente modulata su un progetto originale per la società campese. Nogarin sindaco di Livorno si è presentato bene, appunto con un’aria nuova che a Livorno non si vedeva più da una vita. Anche a lui auguri.
Sulla base di quanto avvenuto sarà importante capire cosa succederà alle prossime elezioni regionali, soprattutto in Toscana, dove l’apparato politico attuale ha occupato da tempo immemorabile l’Istituzione, creando o lasciando crescere e consolidarsi un apparato amministrativo ormai divenuto esso stesso potere quasi autonomo. Sarà bene che chi di dovere si organizzi per tempo.
Non sono certo che le istanze profonde di cambiamento che hanno animato la storia e la vita del secolo scorso abbiano “esaurito la loro forza propulsiva”; certo devono cambiare linguaggio, devono adeguarsi ai mutamenti intervenuti nella società, devono usare le armi della conoscenza e della critica per i tempi correnti: ascoltare gli interventi di Vendola è interessante e confortante per le mie orecchie, ma sono le orecchie di un signore anziano e con buoni studi, entrambe caratteristiche non destinate a prospettive lunghe e luminose. Eppure resto convinto dell’idea che sia necessario procedere scientificamente nell’analisi dei processi economici, sociali, produttivi, culturali; e che l’informazione chiara e documentata di quel che accade sotto i nostri occhi sia un compito indispensabile e fortemente dinamico. La semplificazione estrema dei ragionamenti –il “bbuono/no bbuono” di Andy Luotto in “L’altra domenica” di Arbore- porta poco lontano. Chi non è capace di formulare progetti -dai progetti di vita a quelli di lavoro- di necessità diviene strumento dei progetti degli altri, e senza rendersene conto si ritrova nella condizione di servo. E, come è stato detto, “è più facile liberare uno schiavo che non un servo”. Fornire gli strumenti di analisi, di comunicazione, di progettualità è oggi forse ancor più importante di sempre. Se, come è banale dire, il mondo è dei giovani, dobbiamo garantirci che i giovani siano in grado di comprenderlo, orientarlo, dominarlo: e la scuola è ancora lo strumento principe di ogni buona politica.
“Vergin di servo encomio e di codardo oltraggio”. Una piccolissima nota a margine dei festeggiamenti napoleonici: bene ogni iniziativa che aiuti l’attività turistica; finché chi è in vacanza vuol vedere rievocazioni e figuranti perché negarglieli? Ma non dimenticherei che Napoleone Bonaparte è stato uno dei grandi “mostri” della storia: ha tradito la Rivoluzione che lo aveva nutrito e fatto emergere; ha condotto una vita di guerre che hanno prodotto innumerevoli morti, sacrificati a una politica imperialista ai limiti del delirio; ha restaurato la monarchia della quale i Francesi si erano liberati dopo mille anni; ha piazzato su troni e posizioni di potere tutti i fratelli che aveva, tutti gli amici fedeli e devoti, sfruttando a vantaggio del suo personale potere il consenso di un popolo che aveva perduto ogni discernimento, e vanificando d’un colpo il faticoso percorso della riflessione illuminista; ha impoverito i suoi concittadini con campagne militari impossibili, fino a farsi cacciare, quando si sono accorti che era convinto d’essere davvero Napoleone.
Certo ha fatto anche cose importanti, come tutti i dittatori: il codice delle leggi, la “fondazione” della Pubblica Amministrazione, la bonifica delle pianure pontine (no, quello era un altro). Pochissime luci e tante ombre, pur nello sfolgorio delle uniformi, dei mantelli, dei diademi e dell’oro dei mobili e degli arredi. E’ stato mandato all’Elba perché nessuno lo voleva, e gli antenati elbani lo hanno accolto come se fosse “vero”, mentre era ormai solo un fantasma. Facciamo pure i festeggiamenti, come per la regina Elba o per l’Innamorata, a uso e consumo del divertimento nostro e dei nostri ospiti. Ma la storia è un’altra cosa.
Luigi Totaro