Dati i tempi l’interrogativo riguarda innanzitutto l’Europa di cui come dice Napolitano c’è oggi più bisogno. Ma perché in Europa le cose non restino affidate principalmente alle banche anche il nostro paese deve riuscire finalmente a varare strategie federaliste –come è stato detto- meno oscure e inconsistenti.
Se guardiamo al dibattito (!) in corso mai così confuso e improvvisato sui ruoli istituzionali dallo stato ai comuni si tocca con mano che delle tante chiacchere e polentate sulla padania, le monzate e diti medi non resta nulla. Anzi resta una situazione in cui sono in atto allarmanti processi di decostituzionalizzazione, di crescente accentramento con una maggiore conflittualità e contenzioso costituzionale con regioni a rischio addirittura di fallimento mentre le province stanno per essere smantellate e i comuni in più d’un caso rischiano di non pagare neppure gli stipendi.
Credo dovremmo partire da qui perché non vi sono precedenti da cui risulti uno scollamento tanto sconcertante tra la definizione e messa a punto dei ruoli e alle competenze istituzionali sancite da oltre un decennio in Costituzione e la vera e propria ‘aggressione’ dello stato nei confronti dei soggetti che dovrebbero costituire la rete federalista o comunque di rinnovato segno regionalista e autonomista.
Esemplare nella sua contraddittorietà e superficialità ‘istituzionale’ la decisione sulle province. I precedenti lontani e meno lontani richiamati più volte in questo dibattito avevano sempre preso le mosse dal loro ‘ruolo’ per valutare se e in che misura esso rispondeva alle esigenze del governo locale in rapporto a quello regionale. Le decisioni e motivazioni attuali riguardano unicamente il loro costo tanto che i più accaniti abolizionisti -alla Di Pietro per intenderci- non si sono neppure presi la briga di valutare chi e come dovrebbe prendere il loro posto visto che comunque le province delle funzioni pubbliche le svolgono. Così si è deciso di procedere in nome -va detto- di una demagogia a buon mercato sulla lotta ai costi della casta, sulla base di popolazione e Km quadrati di superfice territoriale che con i riordini per intenderci alla Massimo Saverio Giannini c’entra quanto il cavolo a merenda.
Eppure è proprio da questo ‘disordine’ istituzionale che derivano i fallimenti più clamorosi di quelle politiche specialmente ma non solo ambientali a partire dai beni pubblici e comuni che richiedevano già ieri e oggi anche di più programmazione, pianificazione la cui crisi ci è costata più del Serchio ai lucchesi e non solo in termini economici ma anche sociali e umani.
L’unico risultato sotto gli occhi di tutti è stato quello di rinfocolare grotteschi campanilismi che del federalismo non sono certo la cura migliore.
La sentenza della Consulta sui referendum rilancia per fortuna un impegno civile e non solo istituzionale sui beni pubblici e comuni che c’è da augurarsi permettano a partire dalle regioni di ritessere una tela anche in Toscana di cui ho visto su Greenreport è tornato a parlare anche Mauro Parigi. Speriamo in bene.
Renzo Moschini