Nel piccolo borgo marinaro (Marciana Marina, per coloro che non lo sapessero), si è verificato un efferato fattaccio tribal-politico casareccio.
A dispetto dello schema di un qualsiasi buon giallo, e prima della presentazione dei protagonisti e della storia sarà anticipato il finale con grande e generale delusione di lettori e spettatori : ebbene, sì, l’assassino non è il maggiordomo !
Già si percepiscono i mugugni ed i sospiri contrariati di coloro che, con improvviso ardore in questa torrida e fiacca estate marinese, fossero riusciti a costruire un castello apparentemente inattaccabile di ragionamenti e di ricorsi storici. Pouff ! nulla : improvvisamente rimasti con un pugno di mosche in mano.
Pazienza, sarà per la prossima volta, se ci sarà per chi ci sarà.
Dimenticavo, ora la chiave di lettura. In sintesi : se un palazzo brucia e tu lo indichi ai soccorritori perché intervengano, i soccorritori non devono prestare attenzione al palazzo, ma al dito che lo indica e la colpa, alla fine, dovrà essere del ...proprietario del dito. Se questa paradossale logica non è chiara ora, lo sarà poco più avanti.
Entriamo nella trama del nostro giallo, finalmente.
I PROTAGONISTI, oramai notori.
Allora, da una parte una schiera di rampanti ed onniscienti giovanotti (già riconosciuti una volta, e poi rinnovati, quali sol dell’avvenire marinese) desiderosi di dare nuovo e più splendete lustro alle casse comunali ed alla propria immagine, magari con qualche “piccolo” sacrificio nei riguardi delle strategie di sviluppo del paese e delle aspettative occupazionali dei lavoratori : poca roba rispetto alla gloria. Questo protagonista lo richiameremo, nel seguito, semplicemente come “Principe-Comune”.
Dall’altra parte, una squadra di navigati Operatori del settore nautico, portatori delle esperienze del Porto Vecchio di Genova e, udite, di Portofino (con la partecipazione societaria, tanto per essere più sicuri, dello stesso Comune di Portofino), nonché dal locale Circolo della Vela portatore di pluriennali esperienze di conoscenza dei mari locali e di gestione portuale.
Una vera e propria invincibile armata, profeta di grandi traffici turistici e di lauti incassi per tutti, esercizi commerciali ovviamente inclusi. Questo protagonista lo richiameremo, nel seguito, semplicemente come “Biancaneve-ATI” od anche ”Matrigna-ATI” (una sorta di Jekyll e Hyde della marina, insomma).
Il Buon-Cacciatore (che alla fine, per fortuna, compare sempre).
Infine, il “Maggiordomo”, il nostro Jeeves di passaggio, capitato nella storia a cose già fatte.
In realtà, in un angolino, neanche ben nascosto, c’era già un convitato di pietra : un torvo “Orso nero” (che, come tutti i finanzieri sanno, è un animale da evitare a tutti i costi, potendo, o quanto meno da prevederne quanto prima la comparsa).
La STORIA , per fatti notori.
C’era una volta l’area portuale di Marciana Marina (ancora in attesa, novella Penelope, del suo piano regolatore, in verità).
Il Principe-Comune si trovò ad avere in dote dal Demanio, quali concessioni marittime, due specchi, non magici ma solo acquei, posti all’interno dell’area portuale, con la conseguente necessità di assicurare servizi da erogare ai turisti nautici all’interno della predetta area portuale e di bandire, per ciò, una gara.
Sfumatura di scena, con tanto di effetto “nebbia”.
Quando la nebbia parve diradarsi, il Comune si trovò al fianco una Biancaneve-ATI che, pur di stare al suo servizio, a costo di spregiudicate follie imprenditoriali e di incoscienze manageriali, mise in gioco tutti, o quasi, i gioielli di famiglia, in una misura così spropositata che nessun amore, in realtà, avrebbe potuto razionalmente giustificare.
Ma anche il cattivo orso nero stava già in agguato pronto a ghermire magari il più debole tra i protagonisti.
Tutti sanno che nelle difficoltà vengono fuori tutti i problemi sopiti e tutti i malintesi (capita spesso a molte coppie, in realtà) e fu così che il Principe-Comune e Biancaneve-ATI presto capirono che il loro non era amore vero e che, comunque, non fondava su sani principi.
Altra sfumatura di scena, con tanto di effetto “nebbia”, ma ancora più nebbia.
Cosa fu, cosa non fu, accadde che il Principe-Comune si trovò al fianco non Biancaneve-ATI, ma Matrigna-ATI, con tanto di cattiverie, colpi bassi, scritti accusatori e compromettenti accuse, tradimenti : insomma, tutte quelle cose che accadono quando si scopre che un certo tipo di amorosa complicità non esiste più.
Anche il resto ricalca le storie simili : si tirano fuori tutti i rospi e rospetti, si decide la separazione, si litiga sugli alimenti fino a trovare una rabberciata soluzione, e, tanto per non cambiare, si trascurano le vere vittime , i “Figli-cittadini” insieme anche ai “Figliastri-cittadini” (ma questi ultimi con molto minor dispiacere) marinesi.
Il FINALE, anch’esso notorio.
Il clamore della separazione e tutte le accuse reciproche esternate, più della presenza del nero orso cattivo, attirano l’attenzione del “Buon Cacciatore” che, dai e dai, alla fine vuole vederci chiaro e, marciato con grande visibilità pubblica verso le abitazioni dei protagonisti principali, inizia facendosi raccontare dagli stessi protagonisti, anche a brutto muso, tutti i rospi ed i rospetti, i fatti e gli antefatti, le missive amorose e quelle rancorose.
Quale idea si sia fatta, o si farà, il Buon Cacciatore, non è dato saperlo né immaginarlo né, tantomeno sarebbe corretto precostituire ipotesi di eventuali colpe da ascrivere ai litigiosi protagonisti. Tutti aspettano, senza alcuna curiosità od animosità, ma semmai con preoccupazione per i “Figli” ed i “Figliastri”, il giudizio del Buon Cacciatore, augurandosi soluzioni non violente (è pur sempre un cacciatore !).
Ancora un’altra sfumatura di scena, questa volta però con tanto di effetto “fumi”.
Come quasi sempre può avvenire in questi casi, i litigiosi protagonisti, lungi dal preoccuparsi della sorte dei figli, dall’analizzare seriamente e coscienziosamente i fatti, dal giustificare agli altri ignari ed involontari spettatori il perché di quanto successo, dall’assumere in ogni caso un atteggiamento adulto e dignitoso, si preoccupano solo della loro immagine lesa così pubblicamente.
Bene, ma come fare? Come applicare quello stratagemma per cui deve cessare di essere importante il palazzo che brucia e deve diventarlo un qualsiasi dito che lo indichi (ecco la chiave di lettura dell’inizio, finalmente !) ?
Il Maggiordomo !! Si, concordano i protagonisti una volta tanto d’accordo : il colpevole è il Maggiordomo, è lui, è lui, dagli all’untore !
Molti spettatori (siamo pur sempre in un romanzo giallo) in fondo sono, o preferiscono essere, abbastanza superficiali preferendo, soprattutto in una torrida estate, la semplicità di una soluzione facile facile pronta all’uso , ad una faticosa una analisi dei fatti oggettivi e delle reali responsabilità : si sa, pensare è sempre stato faticoso.
Così, giorno dopo giorno, sembra riuscire l’infantile stratagemma palazzo-dito ed i protagonisti paiono addirittura avviati sul cammino della riappacificazione e della santificazione.
Ma ecco il colpo di scena : il colpevole non è il Maggiordomo ! Il Maggiordomo era al lago a pescare (tra l’altro con scarsi risultati), con tanto di inattaccabile alibi.
Ma il buon Maggiordomo non si arrabbiò (anche se è facile prevedere che la sua pazienza avrà certamente un limite...) e, in quel momento, si limitò a chiosare: calma, gente, calma, nessun isterismo infantile, il Buon Cacciatore ora sa tutto e sarà lui, e solo lui, a decidere se ci sono colpe e colpevoli o se tutti continueranno a vivere felici e contenti.
FINE
Il Signore in giallo