Giacomo Nicolucci su Greenreport ha dedicato un ampio intervento al piano del parco come nodo gordiano. La riflessione critica riguarda i 24 anni trascorsi dalla approvazione della legge quadro sui parchi. Va detto che i piani dei parchi –e non mi riferisco ai vecchi parchi nazionali istituiti in epoca ormai lontanissima per i quali non era previsto alcun piano- è iniziata prima del 1991 almeno in alcune regioni i cui parchi regionali in Piemonte come in Toscana anticiparono la legge quadro che dovette tener conto di questa nuova esperienza. Detto questo –senza seguire qui le annotazioni critiche sui contenuti e gli esiti di quanto previsto dalla legge quadro- va aggiunto che oggi come risulta dalle ripetute osservazioni della Corte dei conti gran parte dei nostri parchi nazionali non si è dotato di un piano. Ma attribuire questa sconcertante situazione agli inghippi e nodi da sciogliere della legge sarebbe assolutamente assurdo perché non si spiegherebbe perchè molti altri parchi e non solo nazionali se ne sono dotati e da molto tempo. La legge è la stessa salvo – ma questo Nicolucci non mi pare lo ricordi- il paesaggio che il nuovo codice dei beni culturali ha inopinatamente sottratto ai parchi. Il che complica oggi non poco le cose sebbene la cosa di fatto sia passata quasi sotto silenzio come se il paesaggio fosse gestibile isolatamente come una materia onnicomprensiva mentre è vero il contrario è cioè che il paesaggio non è gestibile separatamente dall’ambiente naturale, la biodiversità e tutto quanto oggi rientra nella Rete 2000 etc. La crisi dei piani dei parchi va quindi innanzitutto ricondotta ad una gestione politica che ha abdicato ad una politica del governo del territorio e dell’ambiente che non solo la legge del 1991 ma anche quella del suolo (la 183) non ha ‘riservato’ ai soli ambienti wilderness tanto è vero che era persino previsto oltre al piano ambientale anche quello socio-economico. E’ vero che il troppo stroppia ma non è vero che si ignorava che molti anzi la gran parte delle nostre aree protette era ed è segnata da ambiti antropizzati di cui però si è tenuto ben conto in piani –personalmente ho presente per esperienza diretta- come quello di San Rossore.
Se la situazione è andata via via peggiorando al punto che di pianificazione e non soltanto per le aree protette non si parla più difficile spiegarla con i limiti –i nodi gordiani- della legge. Vale per la 394 come per la 183 che i piani di bacino li prevedeva e li prevede che ben pochi hanno fatto e ancor meno hanno attuato a partire da Roma. E’ dunque dalla politica che bisogna ripartire non rinunciando naturalmente a verificare cosa della legge può e deve essere migliorato. Va evitato però quello che poco responsabilmente si è cercato di fare –e qualcuno non vorrebbe ancora rinunciarci- al Senato con i pessimi testi in discussione sulla 394 che ai parchi darebbero un’altra botta in testa.
Renzo Moschini