Il direttore dell’Unità, commentando i nuovi disastri idrogeologici, ha detto che finalmente, dopo 40 anni di chiacchiere, anche noi stiamo partendo con un piano nazionale di interventi.
Non c’è questione ormai istituzionale e programmatica nel nostro paese, stando almeno a certe presentazioni, che non torni sulla scena dopo molti decenni di chiacchiere fino a settanta anni fa quando neppure era stata ancora approvata la Costituzione.
Ora è il turno del dissesto idrogeologico. Eppure D’Angelis dovrebbe sapere molto, bene essendosene occupato a lungo anche nella Toscana e a Firenze alluvionata, che già alcuni decenni fa il nostro paese, dopo un serio lavoro istituzionale, culturale e politico, si dotò di una legge nazionale, la 183, tra le più avanzate d’Europa. Sa che furono istituiti i bacini idrografici con compiti di pianificazione su scala ampia, intercomunale, interprovinciale e interregionale. Ricordo il bacino dell’Arno e i vari interventi previsti e finanziati, che purtroppo però non sempre le istituzioni – lasciamo perdere una volta tanto la burocrazia – seppero portare a buon fine. Ricordo il bacino sperimentale del Serchio, ma anche quello del Magra con una sponda ligure e una toscana, che le due regioni non hanno saputo gestire adeguatamente, pur operando sul territorio un parco regionale ligure. Anzi la regione Liguria decise non tanto tempo fa di sbaraccarlo. Nel frattempo, sulla base di nuove direttive comunitarie, i bacini dovevano essere trasformati in distretti, ma dopo diversi anni ciò ancora non è avvenuto. A Roma invece di pensare a questo trasformarono la protezione civile in una attività gestita da lestofanti anche in territori terremotati come all’Aquila.
Se dei bacini si sa poco e nulla, i Consorzi di Bonifica vengono invece addirittura eletti, mentre le province, che del dissesto si occupavano, sono state liquidate.
Il piano nazionale che dovrebbe dare il via dopo 40 anni a interventi previsti dalla legge da molto tempo, cosa raccoglie dei piani che in alcuni bacini a differenza di altri, penso al Po ma non solo, hanno fatto?
Cosa resta delle iniziative che in diversi bacini (distretti) si erano positivamente concordate, ad esempio, per la gestione di importanti aree protette fluviali, dove spesso invece si è continuato a costruire con effetti rovinosi, per dire poi che bisogna da ora in avanti va vietato, sebbene vietato lo fosse da un pezzo.?
Insomma perché non tornare a rendere i bacini come i parchi, protagonisti non sgraditi di un governo del territorio a cui il nuovo titolo V darebbe un’altra mazzolata?
Renzo Moschini