L’Italia dei borghi ha finalmente una legge. Chi l’ha sostenuta con tenacia come Legambiente ha sempre cercato di evidenziare il patrimonio di storia, cultura e saperi che rischia di andare perduto. Negli ultimi tempi specialmente in Toscana l’attenzione però si è spostata sulla dimensione e sulla esigenza perciò di accorpare realtà frammentate per rendere più efficaci e soprattutto meno ‘cari’ alcuni servizi. Si tratta naturalmente di esigenze reali che possono e devono entrare nell’agenda dei piccoli comuni e borghi non necessariamente con l’accorpamento di realtà che come abbiamo visto in alcuni referendum spesso non risultano graditi a diverse comunità. In particolare ma non solo in Toscana d’altronde il localismo e campanilismo è stato contrastato efficacemente dalle province fin che non è arrivata la legge Delrio. Ecco perché la nuova legge sui borghi deve oggi misurarsi e fare i conti con l’abrogazione delle province che ha già spostato in regione compiti e ruoli provinciali e che con la riforma sottoposta a referendum ridurrà ulteriormente il ruolo delle autonomie e quindi anche dei comuni che dovranno vedersela con ‘l’area vasta’ che nessuno al momento sa cosa sarà.
E’ vero che nella relazione del disegno di legge alle Camere lo stesso Governo avesse a più riprese sottolineato l’importanza delle autonomie ritenendo che ‘l’autonomia degli enti diversi dallo Stato costituisca un insostituibile elemento di arricchimento del sistema istituzionale e che quanto più il potere pubblico è prossimo ai cittadini, tanto più elevata è la qualità della vita democratica e la capacità delle istituzioni di soddisfare i diritti civili e sociali a essi riconosciuti, secondo il principio della sussidiarietà verticale, incorporato anche nell’architettura istituzionale dell’Unione europea’. Insomma la Repubblica non solo individua e riconosce le autonomie ma le ‘promuove’ che, in questa revisione costituzionale, certamente non accade.
La semplificazione si dice è uno dei pregi della riforma. Ma nella Costituzione le Province non saranno più previste ma non per questo risulteranno abrogate in quanto come è stato detto per metà sono morte ma per metà resteranno vive e non gratis. Anzi si stanno già ipotizzando nuove misure chi dice 500.000 abitanti chi 300-350.000. Lasciamo perdere poi le funzioni per l’area vasta dove si troveranno le cose più diverse. C’entra qualcosa con i borghi? Certamente perché quel patrimonio di cui parla giustamente la legge andrà gestito in maniera integrata in un ambito il meno frammentato e separato possibile. E qui si incontra un aspetto nuovo dello sviluppo sostenibile. Se per i piccoli comuni si tratta di contrastare situazioni allarmanti di abbandono da una capo all’altro del paese le aree urbane specie metropolitane devono diventare un motore di sviluppo e innovazione ambientale.
Segnalo al riguardo l’ultimo numero di Italianieuropei che sull’argomento raccoglie una serie di contributi molto importanti da Edoardo Zanchini a Carlo Trigilia a Roberto Camagni a Alessandro Andreatta e altri.
Le città devono uscire dal solo circuito turistico museale e d’arte come i borghi dal proprio confinamento. Il tutto implica che anche ambiti e soggetti istituzionali come i parchi e le aree protette preposti a politiche di tutela e di pianificazione guardino a questa nuova realtà con maggiore attenzione e disponibilità rispetto anche al passato ma soprattutto al presente che le vede sempre più assenti da un governo del territorio che è cambiato e sta cambiando.
Renzo Moschini