L’intervento dell’amico De Fusco sulla riforma costituzionale mi è piaciuto. Non perché condivida il suo pensiero sui contenuti della riforma, ma perché affronta il tema senza esasperazioni e con un pizzico di ironia per “sdrammatizzare – come lui dice – un confronto troppo spesso sopra le righe”.
Teme De Fusco che le proposte di riforma siano “indirizzate al rafforzamento del potere centrale e a un indebolimento dei diritti dei cittadini”.
Ebbene la riforma proposta non modifica la prima parte della Costituzione, quella che fissa, dall’articolo 1 all’articolo 12 i principi fondamentali su cui deve basarsi il sistema democratico e che, dall’articolo 13 al 54 stabilisce quali sono i diritti e i doveri dei cittadini.
Gli articoli da 92 a 96 che riguardano la formazione e il funzionamento del Governo e che affidano alla giurisdizione della Magistratura ordinaria dei reati commessi dal Presidente del consiglio e dai Ministri, anche se cessati dalla carica, non vengono toccati.
Quanto agli spazi di democrazia che i sostenitori del NO ritengono ridotti ricordo che il potere dei cittadini di presentare al Parlamento proposte di legge viene rafforzato, poiché si fa obbligo alla Camera di fissare, nel proprio regolamento, “tempi, forme e limiti “ per la discussione e la deliberazione conclusiva sulle proposte di iniziativa popolare. E questo allo scopo di evitare che quelle proposte finiscano, come è sempre successo, nel dimenticatoio.
E’ vero che viene aumentato da 50 a 150 mila il numero dei cittadini-elettori che dovranno sottoscrivere la proposta, ma si deve considerare che nel 1948, quando entrò in vigore la Costituzione, erano poco più di 29 milioni, mentre, alle elezioni politiche del 2013, sono risultati quasi 47.
Per la prima volta è riconosciuto ai cittadini il potere di promuovere referendum “propositivi e di indirizzo” al fine di favorire la loro partecipazione alla determinazione delle politiche pubbliche.
Rimane il referendum confermativo per le leggi di modifica della Costituzione come attualmente previsto dall’art.138.
Quanto al referendum abrogativo di norme di legge, la richiesta può essere sempre avanzata da cinque Consigli regionali o da 500 mila elettori. In questo caso il risultato del referendum sarà valido se andrà a votare la metà più uno degli aventi diritto. La riforma in questo caso introduce una novità: se la richiesta viene fatta da 800 mila elettori, l’esito del referendum sarà valido se a votare andrà la metà più uno dei votanti alle ultime elezioni politiche. Questo per “sterilizzare” gli inviti a non andare a votare, come di recente ha fatto, ed ha fatto male, il Presidente del Consiglio, in occasione del referendum sulle trivelle.
De Fusco ritiene che l’iter parlamentare per l’approvazione delle leggi non sia stato semplificato. Lo invito a documentarsi sui tempi attuali di approvazione delle leggi e si accorgerà che, per quelle che saranno di competenza solo della Camera dei deputati, i tempi di approvazione, rispetto al passato, sarebbero drasticamente ridotti.
E infine si chiede che succederà di quelle leggi che dovranno essere approvate dalla Camera e dal Senato, qualora esprimano maggioranze politiche diverse.
Succederà che, se ci sarà un accordo politico, verranno approvate; altrimenti verranno rinviate a tempi migliori o definitivamente accantonate. Quanti disegni di legge non sono mai diventati legge dello Stato dall’entrata in vigore della Costituzione ad oggi?
Quello che sicuramente non succederà è che il Governo non dovrà dimettersi e potrà approvare rapidamente le leggi necessarie per l’attuazione del suo programma.
Ho il timore che, se continuiamo a fasciarci la testa con i “se” e con i “ma”, sarà sempre difficile in Italia cambiare qualcosa. Vogliamo tenerci ancora l’attuale sistema “bicamerale” che impone ai Governi di godere della fiducia della Camera dei deputati e del Senato? Siamo, per questo, gli unici in Europa e,credo, in tutto il pianeta terra. Bene. Per carità, non sarà la fine del mondo! Come non crollerà la democrazia se dovesse vincere il SI’. Dobbiamo però ricordarci che dal 1948, ad oggi, in quasi 70 anni, l’Italia ha avuto la bellezza di 63 Governi, molti dei quali caduti per il venir meno della fiducia di una delle due Camere. Ricorderà certo l’amico De Fusco la fine che hanno fatto i due Governi Prodi. Il primo cadde alla Camera, il secondo al Senato. E in entrambi i casi per colpa di quella sinistra che oggi si colloca sul fronte del NO. Come senz’altro ricorderà che il superamento del “bicameralismo perfetto”, che assegna a Deputati e Senatori ( ben 945 onorevoli !) medesimi “compiti” e la trasformazione del Senato in una Camera delle Regioni, erano proposte contenute nel programma elettorale dell’Ulivo. Eravamo nel 1996! Sono passati 20 anni da allora. Ed ora si presentano, tutti insieme appassionatamente, i vari D’Alema, Fini, Pomicino, Brunetta, Gasparri, Matteoli ( ci dispiace che non abbiano potuto far parte della “armata Brancaleone” Berlusconi e De Mita !) per farci sapere di avere pronta una riforma alternativa. Bravi! Ma visto che c’erano, e “contavano” molto, 20 e anche 30 anni fa,perché non l’hanno tirata fuori prima quella proposta? Ci voleva la sciagurata riforma Renzi-Boschi per farli svegliare?
Giovanni Fratini