La vicenda dei parchi non è mai stata così ingarbugliata e a rischio, eppure fasi travagliate non ne sono certo mancate negli anni.
La notizia ultima è quella fornita da Fulco Pratesi a cui ieri il ministro Galletti ha detto che a lui tutti questi documenti critici degli ambientalisti sulla legge del Senato sembrano dettati dalla volontà di fare colpo, insomma comparire per tenere la scena. Al ministro invece interessa far presto con la nuova legge. E questa è la vera notizia; il ministro finora più bravo a scomparire, che ha ignorato tutte le richieste di incontro –anche quella del Gruppo di San Rossore inviata dopo l’incontro a Pisa del 6 ottobre- ha fretta e non capisce perché si devono sfornare tanti documenti critici. Il testo del Senato basta e avanza. Se persino il poco loquace presidente di Federparchi (che dovrebbe diventare per legge un ufficio ministeriale!) dice che la nuova legge è ‘un grande passo in avanti’ perché perdere altro tempo, dopo un quinquennio di emendamenti che vanno e vengono per rattoppare un testo che fa piazza pulita di un nodo da cui si era partiti nel primo testo D’Alì.
Veniamo così alla questione di cui non si trova stranamente traccia nei tanti interventi e documenti faticosamente messi a punto in quest’ultima fase.
Non può essere sfuggito a nessuno che si parla molto della nomina dei presidenti dei parchi, dei direttori, della composizione degli enti, dell’inserimento di un rappresentante degli agricoltori nei direttivi degli enti designato dal ministero dell’Agricoltura, delle royaltes, della caccia, della istituzione di nuovi parchi nazionali comparsi in emendamenti dell’ultima ora, ma che l’idea della prima ora e cioè sbaraccare le regioni da qualsiasi competenza sulle aree protette marine e cancellare dai parchi regionali le aree marine nei tratti di mare prospicenti la regione, sembra una condizione fondamentale per rilanciare i parchi. E si badi bene che anche i parchi nazionali a mare, cioè includenti appunto l’area marina avranno una gestione niente affatto unitaria perché il mare di fatto farà capo al ministero e anche la sua programmazione avrà tempi e modalità distinti dal resto, con tanti saluti dalle disposizioni comunitarie. E se non bastasse, per quel poco che resta disponibile nelle realtà marine locali la gestione coinvolgerà nei consorzi anche soggetti niente affatto istituzionali.
E qui tornano in ballo le istituzioni e la politica ossia lo stato, le regioni e le autonomie perché anche alcuni dei documenti ambientalisti fanno riferimento solo ai parchi nazionali. Eppure basta dare un’occhiata alle cronache per avere conferma che in ballo ci sono tutte le nostre aree protette che la legge 394 (quella ‘vecchia’) voleva come un sistema nazionale raccordato alla comunità europea.
Qui si toccano corde che incrociano anche il nuovo Titolo V, il ruolo e le competenze dello Stato, delle Regioni (ordinarie e speciali), le autonomie e quel che resta dopo l’abrogazione delle province.
La Terza Conferenza Nazionale dei Parchi avrebbe dovuto e potrebbe ancora costituire la sede per una verifica comune della situazione.
Al riguardo e concludendo vorrei ricordare che la seconda Conferenza Nazionale dei Parchi di Torino ( gestione Matteoli) si concluse con un documento dove su proposta di Federparchi fu stabilito che il ministero dell’ambiente avrebbe dovuto sulle aree protette marine accogliere le proposte messe a punto in un incontro nazionale nelle Marche di Coste Italiane Protette ( CIP) il Centro studi di Federparchi. Il ministero poi –tanto per cambiare- perse il tutto per strada.
Ma allora le proposte c’erano e anche il ministero e le forze politiche dovevano tenerne conto.
Renzo Moschini