Fideistico o Referenziale: pare esclusivamente questo l’approccio valutativo lasciato ai cittadini per il prossimo referendum.
La oggettiva indimostrabilità delle conseguenze connesse all’esito del pronunciamento popolare, SI o NO che sia, e le inadeguate valutazioni di merito, lasciano spazio quasi esclusivo a scelte sostanzialmente basate sulla fede, ben diversa dalla fiducia, verso i protagonisti.
Il cittadino chiamato ad esprimersi non viene certo aiutato, nella costruzione dei propri convincimenti, dalla diffusione di slogan generalisti, e persino superficialmente accattivanti, di marketing politico: basta un SI per cambiare tutto in meglio, leggi approvate con grande velocità, diminuzione dei costi della politica, eccetera, eccetera.
Una vera inondazione di slogan rassicuranti, conditi, ove ritenuto utile, di subliminali accenni quasi catastrofici.
Il difetto di fondo, in tutto ciò, sta nel fatto che questo referendum, invece che porsi, come ora si pone, quale sostanziale pregiudiziale di governabilità, sarebbe dovuto arrivare alla fine di un visibile percorso di attenzioni politiche e programmatiche (non pretendo neanche di leggi o di soluzioni immediate) volte a porre in primo piano i problemi reali del Paese e dei cittadini, la presa di coscienza di ciò che è oggettivo come il grido di allarme dell’ISTAT sul maggiore livello di povertà raggiunta dalla fine dell’ultima guerra e dell’INPS sui livelli reali di occupazione, la constatazione della inarrestabile fuga all’estero di aziende e di giovani, disperati tanto quanto qualificati, la continua svendita dei gioielli industriali e patrimoniali nazionali.
Così, senza particolare partecipazione, ogni cittadino si dovrà ora barcamenare, solo come esempio, tra un Senato-doppione originariamente da sopprimere ed un Senato “riformato” inutile o, viceversa, in qualche modo condizionante; tra l’indimostrata quantificazione dei risparmi della “struttura-senato” (ben diversa, per le valutazioni del caso, dai soli senatori) e l’ancor più misteriosa ed eterea diminuzione dei cosiddetti “costi della politica” , continuamente aggiornati, purtroppo, dalla scoperta e dalla evidenza di ben altri costi, attribuibili a giganteschi e diffusi sprechi e disorganizzazioni, nonché alla onnipresente corruzione, interna ed esterna agli stessi partiti.
Viene da pensare a quanti mai cittadini sarebbero pronti, da subito, a barattare legge elettorale e modifiche di 47 articoli della Costituzione con il rispetto almeno dei primi 4 articoli della stessa Costituzione italiana.
L’aspetto sconcertante di questo approccio fideistico è nel perdurante disinteresse dei partiti a rendersi conto che proprio questo tipo di impostazione ha generato e fatto crescere, nel tempo, nei cittadini, diffidenza, disamore per la politica, disaffezione per la cosa pubblica, astensionismo elettorale, fuga verso posizioni forzosamente qualunquiste. Il “ghe pensi mi” non funziona più, da tempo.
Il marketing “referenziale”, poi, non è che faccia danni minori.
Sembra di assistere a fasi di calciomercato, di aggiornamento continuo delle squadre di testimoni, spesso portatori di motivazioni sempliciotte, a volte impegnati, con una spietata marcatura a uomo, in vere e proprie denigrazioni incrociate.
Addirittura succede che vengano cooptati, quali testimoni di parte, personaggi non più in vita (e, quindi, non più in grado di aggiornare e storicizzare le rispettive posizioni) che, pur avendo pronunciato frasi o formulato proposte apparentemente simili a qualcuna delle attuali, lo hanno fatto in contesti storici, politici ed etici molto diversi da quelli nei quali viviamo.
In questi casi la strumentalizzazione politica si fonde con l’ignoranza (ove sussista la buona fede) o direttamente con la malafede.
Nell’insieme, una confusionaria ottica da tifo calcistico, appunto, da sempre caratterizzata da assenza di razionalità e di rispetto verso le idee o le passioni altrui.
In questo scenario, monta il fondato timore che, alla fine, quello dei cittadini sarà l’ennesimo pronunciamento “per schieramento pregiudiziale” o “di pancia”, proprio di quella pancia sempre considerata, negativamente, appannaggio di schieramenti spesso per ciò denigrati.
Un pronunciamento che, per la sua maturazione, temo che lascerà un Paese diviso più di quanto ora si possa immaginare, diviso sul nulla e senza sapere bene il perché. O, peggio, lo lascerà ancora più indifferente e distante.
Paolo Di Pirro