Siamo dunque arrivati alla fine dell’estenuante percorso elettorale sul Referendum costituzionale. Ne avevo scritto qualche tempo fa su questo giornale, e allora mi aspettavo che la campagna elettorale avrebbe potuto accendere qualche lume sul significato della Riforma. Devo dire che sono rimasto esattamente al punto di partenza. La discussione c’è stata, ma invero poco coinvolgente e poco illuminante. Anche perché, come mi era sembrato da subito, non si è quasi mai entrati nel merito, semplicemente perché il merito non c’è o è pochissimo interessante.
Come il Presidente del Consiglio aveva subito detto, il Referendum riguarda essenzialmente la sua persona: è un sì o un no a Renzi. Non banalmente: è un sì o un no a un’idea di politica e di governo; a una cultura o a una non cultura politica; a una affermazione della necessità del “fare” senza chiedersi troppo in che strada cammina questo fare, o invece a una esigenza di inquadrare qualunque azione in una prospettiva di progetto economico, sociale, culturale di lungo respiro (quello che Renzi e i suoi chiamano “vecchia politica”, e che hanno sistematicamente tentato di “rottamare” senza però, a mio avviso, mostrare alcuno scenario di nuova politica che non sia “l’azione per l’azione”).
Credo impossibile immaginare che i “temi” contenuti nel quesito referendario siano qualificabili come “riforma” –a parte l’abolizione del “bicameralismo paritario”, realizzata in modo improvvisato e parzialissimo-: la “diminuzione dei costi della politica” è una tardiva partecipazione alla corsa per catturare il favore popolare lanciata dai milionari giornalisti del “Corriere della Sera” Rizzo e Stella, incrementata dal bisogno di consensi del Movimento 5 stelle con la penosa autoriduzione degli stipendi e iniziative consimili, che propongono come nuova e bella l’idea del dilettantismo in politica e nelle varie forme di governo -tanto cara a chi fa fatica a riconoscere il valore della professionalità, in tutti i campi; tanto popolare nei bar-. Nessuno nega che sia necessario intervenire sui “costi di produzione” dell’Amministrazione pubblica; ma per questo è più efficace un disegno di trasformazione della normativa generale attraverso una vera e attuata (non solo annunciata) riforma dell’Amministrazione che non un intervento chirurgico alla cieca, che mira ai posti occupati piuttosto che alle funzioni superate, alle organizzazioni obsolete, alle procedure decrepite: a esempio, “abolire le Province” lasciandole di fatto sussistere, per “risparmiare gli emolumenti dei consiglieri”, è un contentino demagogico che permette di dar una soddisfazione “morale” momentanea ai senza lavoro, ma non di affrontare il problema gravissimo del decentramento amministrativo, né quello della disoccupazione.
L’abolizione del CNEL si poteva fare con una legge costituzionale, come già è avvenuto in altri casi nella storia della nostra Costituzione. Non voglio poi entrare nella confusa riformulazione dell’art. 70, o della conseguente riscrittura del famoso Titolo V (Enti Locali), che da sé basterebbero quanto meno a rimandare “al prossimo appello” un qualunque studente di diritto, o anche semplicemente di lingua italiana.
Insomma nel merito la Grande Riforma Renziana appare poco efficace, nel metodo poco affidabile, nella sostanza poco utile. Ma non è di questo che si è discusso per due anni.
La vera materia del contendere, a mio modo di vedere, è l’esigenza di una mutazione della cultura politica che stia al passo con la rivoluzione economica, sociale, culturale che stiamo vivendo: dall’egemonia della finanza sulla produzione; alla globalizzazione dei mercati, dei linguaggi, delle comunicazioni; allo sconvolgimento degli assetti geopolitici –la nuova Russia, la Cina, i cosiddetti Paesi emergenti, il mondo islamico-; alle mutazioni climatiche, alle nuove fonti energetiche; alla spaventosa, crescente concentrazione di ricchezze nelle mani di pochi da una parte, e al dilagante impoverimento dei moltissimi con la progressiva scomparsa dei ceti medi dall’altra.
Pensare che la risposta italiana a questi problemi possa essere la “diminuzione dei costi della politica” o semplicemente la sostituzione di personale politico “datato” con giovani rampanti sconosciuti e freschi e a chilometro 0 rispetto al Presidente del Consiglio, è semplicemente ridicolo. Per di più dovendo dimenticare che il pezzo meglio del Governo è il “maturo” Ministro dell’Economia con i suoi “maturi” collaboratori; e che il Ministro dell’Interno proprio nuovo nuovo non è, come del resto molti suoi colleghi variamente cooptati; e che i sostenitori “esterni” della maggioranza appartengono a tradizioni politiche e associative di lunga e non sempre limpida storia.
Renzi vuole rappresentare il nuovo, il futuro, perché usa il computer con la mela ed è presente sui “social” e dice “raga”. E’ un po’ poco. Quando presenterà un’articolata esposizione di ciò che pensa della realtà del nostro tempo, di cosa pensa della giustizia sociale ed economica, di quale strategia intende mettere in campo per riequilibrare la distribuzione delle risorse e delle possibilità, di quali strumenti ha individuato o immaginato per orientare l’economia –che non siano le elemosine come è avvenuto finora, perché la carità è una nobile virtù ma non ha niente a che vedere con la politica e l’economia-; quando farà capire che il suo “fare” deriva da un pensiero, una riflessione, una cultura approfonditi e meditati e comunicabili, e pertanto capaci di ricevere la fiducia profonda e meditata dei suoi concittadini –che è cosa diversa dalla simpatia-; quando parlerà per idee e non per slogan, allora sapremo che una nuova generazione politica si è affacciata nella nostra realtà e davvero la apre alla speranza di tempi migliori. Con il terremoto che è in corso in tutto il mondo, bisogna pensare a come ricostruire, non a dare riverniciatine.
Luigi Totaro
L'attuale articolo 70 della Costituzione recita:“La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere.”: 9 parole.
Nuovo articolo 70: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, e soltanto per le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, le altre forme di consultazione di cui all'articolo 71, per le leggi che determinano l'ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni, per la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea, per quella che determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l'ufficio di senatore di cui all'articolo 65, primo comma, e per le leggi di cui agli articoli 57, sesto comma, 80, secondo periodo, 114, terzo comma, 116, terzo comma, 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120, secondo comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma.
Le stesse leggi, ciascuna con oggetto proprio, possono essere abrogate, modificate o derogate solo in forma espressa e da leggi approvate a norma del presente comma. Le altre leggi sono approvate dalla Camera dei deputati. Ogni disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati è immediatamente trasmesso al Senato della Repubblica che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il Senato della Repubblica può deliberare proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera dei deputati si pronuncia in via definitiva. Qualora il Senato della Repubblica non disponga di procedere all'esame o sia inutilmente decorso il termine per deliberare, ovvero quando la Camera dei deputati si sia pronunciata in via definitiva, la legge può essere promulgata. L'esame del Senato della Repubblica per le leggi che danno attuazione all'articolo 117, quarto comma, è disposto nel termine di dieci giorni dalla data di trasmissione. Per i medesimi disegni di legge, la Camera dei deputati può non conformarsi alle modificazioni proposte dal Senato della Repubblica a maggioranza assoluta dei suoi componenti, solo pronunciandosi nella votazione finale a maggioranza assoluta dei propri componenti. I disegni di legge di cui all'articolo 81, quarto comma, approvati dalla Camera dei deputati, sono esaminati dal Senato della Repubblica, che può deliberare proposte di modificazione entro quindici giorni dalla data della trasmissione. I Presidenti delle Camere decidono, d'intesa tra loro, le eventuali questioni di competenza, sollevate secondo le norme dei rispettivi regolamenti. Il Senato della Repubblica può, secondo quanto previsto dal proprio regolamento, svolgere attività conoscitive, nonché formulare osservazioni su atti o documenti all'esame della Camera dei deputati.”: 438 parole.