Che dopo 30 anni se vince il NO non cambia nulla per le regioni non è vero. Intanto perché è dal 2001 che le Regioni sono finite impigliate in un riforma che non ha funzionato e non solo per loro. Lo stato -si è detto- deve riprendersi tutto o quasi per rilanciare politiche regionali arenatesi nella conflittualità. Ma qui compare il primo omissis perché nel 2001 era stati previsti nuovi strumenti anche legislativi tra Parlamento e Regioni nell’ambito della Bicamerale per le questioni regionali o anche specifici che avrebbero dovuto superare la Conferenza Stato-Regioni chiamata a dire la sua dopo che lo stato aveva deciso il da farsi. L’intento era chiaro, ed era rivolto a rimuovere in partenza quella conflittualità, non solo costituzionale, ma anche politica a cui lo stato ha concorso per primo e di più.
Ecco perché il pasticcio previsto dal nuovo Titolo V della riforma risulta pretestuoso e del tutto infondato. Insomma le regioni sono solo un capro espiatorio per uno stato che non vuole superare i limiti del vecchio titolo V ma solo approfittarne per tornare a prima, appunto, quando lo stato gestiva tutto dal centro, e che abbiamo visto all’opera nei tanti disastri ambientali alcuni dei quali ricordati anche nelle scorse settimane; vedi l’Arno.
D’altronde che tra stato e regioni restino problemi lo si vede dalle polemiche in corso in questi giorni in Toscana, che pure nella gestione dell’ambiente non è certo l’ultima della classe.
Ma a tutto questo nelle scorse settimane si sono aggiunti problemi che non riguardano solo il voto del 4 dicembre. Mi riferisco alla legge sui parchi, votata al Senato e in attesa del voto alla Camera, che toglie qualsiasi competenza alle regioni sulle aree protette marine –quelle si- assegnate loro un trentennio fa. Insomma dopo 30 anni ( più o meno) lo stato gliele toglie. Che a tirare la volata contro tutto il mondo ambientalista sia il Pd nel più totale silenzio del l’Unità, la dice lunga di più tante chiacchere.
Renzo Moschini