Cari Colleghi (insegnanti e genitori),
“L’Amministrazione Comunale deve sostenere la Scuola anche sotto l’aspetto educativo, con particolare riferimento alla opportunità di “nutrire” il senso di “cittadinanza” e di appartenenza consapevole alla Comunità, attraverso l’attivazione di percorsi permanenti di formazione civica. La costituzione di un gruppo di lavoro permanente, rappresentativo dell’Amministrazione e dell’Istituzione Scolastica, potrebbe individuare dei progetti da inserire nel Piano di Offerta Formativa volti ad educare gli alunni al valore della partecipazione e alla responsabilità verso la Comunità e il bene pubblico” (Programma del Movimento Idea Comune Lambardi Sindaco). Rileggendo queste affermazioni del Programma, sono tornata ad alcune riflessioni che avevo svolte con colleghi delle Isole Minori in occasioni di alcuni convegni ai quali ero intervenuta come “inviata” dell’allora attiva “Rete delle scuole dell’Isola d’Elba”, diversi anni fa. Negli anni quelle riflessioni sono state condivise con molti colleghi elbani, e in parte pubblicate in occasioni varie. Mi pare utile ora richiamarle nella prospettiva di un impegno politico amministrativo come quello che si inaugura con le prossime elezioni. Do loro la forma di “tesi” per facilitarne l’enunciazione, sperando che si possa discuterne con maggiore diffusione nei tempi venturi.
1) Le scuole delle Isole, proprio per le particolari condizioni nelle quali si trovano a operare, sono naturalmente predisposte a immaginare, progettare e realizzare l’innovazione, percependo l’impossibilità di abbandonarsi alla routine, se non a prezzo di una profonda frustrazione.
2) Le nostre scuole sono dei laboratori didattici sempre aperti e da sempre aperti; dei luoghi di sperimentazione spontanea e inevitabile, ricchi e ignorati, che dobbiamo far conoscere perché del nostro lavoro di invenzione quotidiana si possa valere tutta la scuola.
3) Dobbiamo considerare il capitale di base che la nostra scuola può impiegare: il territorio e la sua storia. E’ un capitale notevole da investire, un valore aggiunto che costituisce il nostro vantaggio rispetto ad altre realtà apparentemente più avvantaggiate. E’ la materia prima che la scuola deve trasformare in realtà viva e produttiva.
4) Non è la scuola a dover ricercare il rapporto con il territorio, con le realtà economiche, sociali, culturali delle comunità nelle quali si trova a operare. La prospettiva va ribaltata: la scuola deve partire dalla realtà che la circonda e riprogettarla, trasformarla, renderla duttile e sempre pronta a trasformarsi in continuità. Abbiamo compreso che l’educazione, l’acculturazione, la preparazione del giovane parte da lui, da come è nel momento in cui ci compare davanti –sia nel ruolo di genitori che di insegnanti–, e che dunque non si comincia da zero ma dal punto in cui si è arrivati; lo stesso deve avvenire nel rapporto con la società: la scuola interviene in una realtà storicamente strutturata, per farla crescere e quindi trasformarla. Pensare che indirizzi e contenuti debbano essere ispirati o suggeriti alla scuola dalla realtà esterna è come pensare che il medico debba prescrivere le sue cure sulla base delle indicazioni del paziente: certo la pratica dell’anamnesi è strumento prezioso per il medico, ma poi interviene la sua professionalità. La scuola non è chiamata ad adeguarsi alla società d’intorno, ma a intervenirvi cogliendone e sviluppandone potenzialità future a essa sconosciute; ed evitare che –come un’antica tendenza rende manifesto– la società cerchi di riprodurre se stessa, che immagini come futuro per i giovani il proprio passato.
5) La conoscenza del territorio e della sua storia sono la dote da investire; chi opera nella scuola deve conoscere l’uno e l’altra, sia nella dimensione del passato che in quella del presente. E qui si colloca un punto importante del ragionamento che stiamo svolgendo. La contenuta dimensione del territorio, ne permette la conoscenza come difficilmente altrove. Le trasformazioni avvenute, sia sotto il profilo ecologico che sotto quello economico, descrivono una storia relativamente omogenea e leggibile, capace di rintracciare il senso dell’attualità, nei suoi aspetti positivi come in quelli negativi. Le testimonianze sono presenti nelle forme del territorio e nella memoria delle persone.
6) Sotto il profilo culturale il considerevole miglioramento (anni ’60-’70) delle condizioni economiche della popolazione, non sorretto da una corrispondente crescita culturale delle generazioni che ne sono state protagoniste o comunque beneficiarie, sembra aver finito per generare una società statica, contenta del suo sviluppo sociale, economico, culturale; con una modesta dinamica del mercato interno, con conseguente modesta offerta di beni e servizi per le popolazioni residenti, con una bassa soglia di desideri anche nelle fasce più giovani prigioniere, diremmo, del lavoro stagionale, al quale i giovani sono costretti come sono costretti alla lunga inattività invernale, ricca solo di noia e di disagio.
7) Per prima la scuola deve cambiare prospettiva: al presente il mondo della scuola sembra essersi ritirato sotto la tenda, come Achille: il ceto intellettuale della nostra società, ricco della presenza di molti insegnanti d’ogni ordine e grado, se ne sta in silenzio, quasi schivo, eludendo ogni protagonismo. Invece non credo sia possibile sottrarsi al ruolo insostituibile che le élite intellettuali hanno e devono esprimere nella società: la capacità critica che deriva dallo studio e dall’insegnamento; l’esperienza quotidiana dello stato di salute della società di riferimento; il contatto dinamico con i prossimi adulti, il concorso obbligato alla loro formazione e alla prefigurazione del loro futuro; tutto ciò non può non esprimersi in un progetto generale di società locale al quale ogni insegnante deve partecipare.
8) La scuola nel suo insieme deve trovare la sua dimensione protagonista nella società: gli insegnanti devono trovare strumenti e tempi per esprimere tutti insieme una sorta di Piano dell’offerta formativa territoriale, scaturente dall’analisi degli sviluppi possibili della società locale raffrontati con quanto avviene a livello provinciale, regionale, nazionale, europeo. Costituire gruppi di studio, di elaborazione metodologica e di sperimentazione, nuclei di valutazione.
9) Si tratta di immaginare un impegno di lavoro ancora maggiore, è chiaro; e ci sarà da intraprendere una serrata dialettica con i genitori e la società adulta in generale. Ma forse è ancora possibile: ed è una chance da giocarsi. Anche in questo la scuola diviene laboratorio: educare al cambiamento, al rinnovamento continuo, alla progettazione della società che è per sua natura statica e conservatrice, quasi sempre distratta dalla comprensione di quanto accade dietro le apparenze di una continuità scambiata per sicurezza, salvo poi restare attonita di fronte a fenomeni sociali imprevisti e incontrastabili –il gap generazionale, di cui si parla spesso e si capisce poco–, capaci di sconvolgere adulti convinti di aver fatto tutto quello che potevano e dovevano.
10) Se la società civile, i responsabili della politica, le Istituzioni sono disposti a scommettere sulla scuola; e se la scuola è capace di assumere un gravoso quanto gratificante e soprattutto responsabilissimo impegno, si può provare a correggere la linea di tendenza di una società che sembra incamminarsi verso la propria eutanasia. E’ un tentativo conveniente.
Claudia Danesi