Massimo Recalcati, psicanalista e professore universitario nonché fondatore e coordinatore della nuova scuola quadri del PD, è ‘intellettuale organico del Renzismo. Autore generoso, quando lavora nel suo campo risulta senza dubbio più interessante, e propone riflessioni anche coinvolgenti. Sul versante dell’analisi politica appare ben più approssimativo, e quando tenta di suffragare le proprie valutazioni con il sigillo della scienza (?) psicanalitica sembra perdersi in un’affabulazione che incanta i già incantati me non produce alcun contributo di chiarificazione dei problemi affrontati.
E’ il caso dell’articolo comparso su “Repubblica” lunedì 17 luglio, che dice di voler capire il motivo dell’impopolarità di Matteo Renzi presso una parte non marginale della Sinistra, ma di fatto serve a lui per formulare una drastica diagnosi ‘psicanalitica’ degli oppositori del suo Leader di riferimento. La diagnosi è già nel titolo dell’articolo: “L’odio per Renzi e il lutto della Sinistra”. Ci vuole poco a capire che tutto ruoterà intorno all’idea del lutto per la morte del “prima di Renzi”, e l’incapacità di accettarlo ed elaborarlo da parte degli orfani del morto che è sulla bara.
Ma l’Autore inizia come ‘storico’, pur senza rinunciare a riferimenti “scientifici”. L’odio per Renzi “è fondato sulla valutazione obbiettiva dei contenuti della sua azione di governo e di segretario del Pd oppure risponde a logiche più arcaiche, più viscerali, più pulsionali?”. Naturalmente la prima delle due possibilità indicate non è nemmeno presa il esame –la valutazione obiettiva della sua azione di governo e di segretario non può incontrare dissenso-; resta l’altra, e cioè che “risponde a logiche più arcaiche, più viscerali, più pulsionali”. Ipse dixit. E lo ‘dimostra’ facendo ricorso alla storia e alla genetica, come s’usa ora: “fa parte del suo Dna e della sua storia, anche di quella più recente, scatenare l'odio nei confronti di coloro che, dichiarandosi militanti di sinistra, osano introdurre dei cambiamenti che rischiano di minare alla base la sua identità ideologica”. Un po’ come dicono i giornalisti sportivi: “Fa parte del DNA della Juve vincere (o rubare)”. E l’acuto pensiero si perfeziona con l’esempio –neutrale, obiettivo- del cane di Pavlov, poiché la Sinistra, appena individua un “rinnegato o un traditore”, inizia istintivamente a sbavare (è nel DNA!), pregustando un macabro pasto.
Del resto “la storia ci offre una miriade di esempi, antichi e più recenti”, ma per comodità si cita solo la richiesta di Tomaso Montanari a Pisapia di tornare a riflettere sulla decisione di votare Sì al referendum del 4 dicembre, che potrebbe essere anche la richiesta di considerare l’opportunità di una valutazione politica data allora dall’ex sindaco di Milano, ma viene proposta dallo psicanalista come una richiesta di abiura stile Santa Romana Inquisizione. Dopo questa miriade di esempi, la domanda retorica conclusiva: “Ma possibile che ogni atto, ogni pensiero, ogni gesto politico di Renzi sia sbagliato? Che ogni sua opzione sia divenuta contraria al bene del Paese e a quella del suo stesso partito? Non è un po' sospetto? Matteo Renzi viene identificato non come la cura, ma come la malattia della sinistra. Una infezione, un batterio, una anomalia genetica di fronte alla quale anche i dispositivi democratici che regolano la vita del Pd e che, di fatto, ratificano ogni volta la sua leadership sembrano inadeguati. La convinzione resta inscalfibile: nemmeno l'accoppiamento con un uomo chiaramente di sinistra come Martina, scelto da Renzi come suo vice, la sposta di un solo millimetro”.
La retorica è l’arte della persuasione nella ricerca della verità, non un trucchetto per incantare gli sprovveduti. Certo che non è possibile “che ogni atto, ogni pensiero, ogni gesto politico di Renzi sia sbagliato”, poiché è un non senso; diverso è chiedersi se “ogni sua opzione sia divenuta contraria al bene del Paese e a quella del suo stesso partito”: poiché questo riguarda la visione politica del
Leader, e la sua “discutibilità”, oseremmo sperare. Penoso il riferimento ai meccanismi della democrazia interna al Partito –visto che uno dei problemi nodali del nostro tempo è proprio il concetto di democrazia, declinato da Renzi e dai suoi come mera conta numerica, secondo una tradizione antica ma davvero ormai manifestamente perversa- appena attenuato dall’accenno alla possibilità puramente teorica, e negata, che essi siano “inadeguati”; e la ‘prova’, con il povero Martina emblema dell’“uomo chiaramente di sinistra <…> scelto da Renzi come suo vice” appare davvero patetica.
Per Recalcati tutto è chiaro: “L'odio investe l'altro in quanto eterogeneo e inassimilabile. Renzi per la "sinistra sinistra" è l'incarnazione maligna di una eterogeneità che resiste ad ogni assimilazione. Le sue origini culturali e antropologiche sono differenti da quelle del vecchio gruppo dirigente del Pci che è migrato nel Pd. Un'altra cultura, un'altra sensibilità, ma anche un'altra generazione”. E se il giudizio della Sinistra Sinistra fosse la banale considerazione che Renzi appartiene a un altro Partito? E che dunque è un naturale avversario politico? Non da odiare, ma di cui essere avversari? Ecco di nuovo il riferimento al “legittimo voto delle primarie” che lo consacra Segretario: dell’annientamento delle minoranze, dell’occupazione esclusiva dei luoghi delle decisioni, del giudizio sprezzante sulla minoranza non vissuta come ricchezza, come fattore propulsivo, come inclusione ideologica, ma come un vero e proprio attentato al sovrano; di questo non si deve parlare? “Per questo è insistente -se non drammaticamente compulsivo- l'invito alla discussione interna sulla linea del segretario; invito chiaramente sintomatico che denuncia, a mio giudizio, proprio quel fantasma di usurpazione relativo ad una eterogeneità giudicata, appunto, originariamente e ideologicamente illegittima”. E se così fosse? O chi non è con il Segretario deve immolarsi in un volontario “auto da fè”, a proposito di abiure. “Non solo bisogna infinitamente discutere sulla linea del segretario -non solo oggi che il partito è in difficoltà, ma, occorre ricordarlo, sin da quando Renzi ha acquisito legittimamente il suo incarico-, ma si deve continuare a discutere sino a quando questa eterogeneità scandalosa sarà espulsa o ridotta a una posizione minoritaria”. Già, Recalcati, questa si chiama dialettica interna a un partito. Anche se forse, come recentemente suggeriva Cacciari, la cosa migliore è che ciascuno si faccia il suo partito, senza tentare sintesi ormai impossibili. Ma il Professore ha la sua diagnosi: “La vera ragione di tutto questo odio è la difficoltà della vecchia sinistra di fare il lutto della sua fine storica. Più schiettamente: Renzi è colpevole di avere messo la sinistra di fronte al suo cadavere. Anziché fare il lutto della sua identità ideologica essa preferisce -come spesso accade- imputare all'eterogeno la colpa della sua morte (già avvenuta)”. Sulle cause della morte dell’amata congiunta (la Sinistra Sinistra) lo psicanalista non dice. Non dice neanche che nella storia recente la dichiarazione di morte era già stata fatta da altri medici legali -Craxi, Berlusconi, Blair- che pensavano di risolvere così il problema di una possibile, insistente, pervicace resistenza al socialismo liberale. Se la storia avesse davvero insegnato mai qualcosa, avrebbe dovuto raccontare che da quelle affrettate conclusioni l’esito è sempre stato la vittoria della Destra, e il rinvio di vent’anni della risoluzione del problema. La saggia Democrazia Cristiana ha sempre atteso che la Sinistra si suicidasse, ma non si è mai affrettata a dichiararne la morte. Poi è arrivato Renzi, che ha indicato nuovi orizzonti: Tony Balir, senza accorgersi che non siamo in Inghilterra; e Barack Obama, senza accorgersi che non siamo negli USA. E senza domandarsi se i risultati raggiunti da quei due fulgidi esempi abbiano davvero corrisposto alle aspettative loro e di una nuova Sinistra.
Luigi Totaro
(Sull’articolo di Recalcati sono intervenuti Berardi, Costamagna, De Palto, Brullo, Montanari, Cranz e altri).