A conclusione dell'esito referendario che ha sancito la prima nascita all'Elba di un nuovo comune a seguito di fusione, contribuendo involontariamente al risveglio dal sarcofago del “comune unico” (è utile ricordare che nel 2013 i cittadini hanno risposto “no”), nonché di auspici di prove per svariate forme unioniste di versante o di vicinato, sarebbe curioso e prudente quantomeno verificare, dopo il necessario tempo, cosa ci dirà la fusione di Rio Elba con Rio Marina.
C'è un nuovo comune riunificato, pur tra le diversità, pronto per essere plasmato a un nuovo profilo e a un nuovo senso di appartenenza. E' doveroso, quindi, volgere uno sguardo attento al cammino del neo comune.
Sono apprezzabili, oltre che tatticamente comprensibili, gli appelli alla collaborazione di tutti, a mettere da parte i personalismi, gli inviti generici all'ormai la cosa è fatta e “ufficializzata” con il simbolico taglio del nastro al confine del “coccolo”, le prove per il nuovo Statuto e infine il brindisi per Santa Barbara.
Tutto bene madama la marchesa? No, perché non si può mettere da subito “il diavolo insieme all'acquasanta”.
Sarebbe presuntuoso che, di fronte a quel popò di cambiamento istituzionale, tutto da governare, ci si dimentichi delle diverse opinioni opposte e al momento inconciliabili espresse tra i contrari e i favorevoli alla fusione, da tenere, certo, oggi e domani dentro limiti della più sana e corretta dialettica politica e istituzionale, tesa a facilitare un risultato per le migliori condizioni economiche e sociali di tutta l'area interessata dalla fusione.
E' utile ricordare che entrambi i “partiti” del sì e del “no” non hanno motivato al voto una parte significativa di cittadini, rimasti indifferenti alla nuova Rio.
Questo aspetto dell'indifferenza riguarda tutti, a prescindere, ma in particolare i due sindaci che hanno proposto il matrimonio per il quale, la maggior parte dei riesi, ha rifiutato l'invito. Non proprio un bel segnale di riconoscimento nei loro confronti.
Quella sorta di disagio, espressa con il non voto al referendum, interpretabile anche come volontà di non voler appartenere a nessuno degli schieramenti, impone di capirne i motivi.
Chiunque non abbia votato e qualsiasi ne sia stato il motivo ha rinunciato colpevolmente, a prescindere dal voto che avrebbe espresso, ad un diverso esito o a favore del “no” o a legittimare meglio la vittoria del “si. Ricordo che solo con il 25% di favorevoli alla fusione si è conquistato il nuovo comune.
Detto questo: al “si” spetta il peso maggiore di accompagnare la riunificazione.
Quindi il “si” ha, per primo, il compito di trasformare le proprie certezze e promesse in azioni progettuali per i riesi. Se riuscirà a farlo riceverà applausi altrimenti emergeranno ulteriori interrogativi sulla fusione.
Certo si dirà che spetterà al nuovo sindaco dare sostanza alla fusione, ma anche chi ha creduto alla riunificazione ha il dovere di accompagnare quel processo.
Quella legittima fierezza di aver pensato alla fusione e di aver prefigurato un cambiamento in meglio per Rio Elba e Rio Marina, non potrà essere orfana, da parte dei sostenitori del “sì”, di un impegno fuori dal comune e di responsabilità nel tempo, anche dopo la fine dei contributi straordinari, perché i comuni non vivono solo dieci anni.
Quegli astensionisti sono una quantità di persone che certo non potranno mai più essere protagonisti diretti per quel voto referendario, ma lo saranno per il voto amministrativo.
La competizione politica per la scelta del nuovo sindaco e della nuova giunta alla quale parteciperanno i nuovi cittadini di Rio, avrà come argomento inevitabile l'avvenuta fusione.
La fusione, si è sostenuto, è stato un atto dovuto. Forse più voluto.
Giovanni Frangioni