Riassumendo…
Il confronto fra i candidati leader delle tre coalizioni più grandi c’è stato, sia pure con interventi separati, martedì sera su “La 7”. Dell’intervista a Berlusconi è inutile parlare. Ha mostrato ancora una volta il campionario della sua televendita, con l’“effetto speciale” della finta domanda per il rimborso dell’IMU, quasi “marchio di fabbrica” della mercanzia esposta: la bufala.
Bersani (che, va detto, non è un grande comunicatore), ha svolto il ruolo che si è dato, di buon padre di famiglia, pacato, rassicurante, attento, prudente. “Progresso senza avventure”, come una volta. Ha lasciato intravedere orizzonti di cambiamento delle politiche europee, delle politiche economiche e finanziarie, delle politiche del lavoro, di quelle dei diritti personali; ha indicato una via possibile per un rilancio dell’occupazione; insomma ha detto cose credibili e giuste, anche se poco entusiasmanti. Forse va bene così: “il Piave mormorò…”.
Il professor Monti è stato deciso, chiaro nelle analisi e nelle prospettive, rigoroso nel definire lo sviluppo dell’azione politica che il Paese, secondo lui, deve realizzare. E’ un uomo sicuro della sua scienza, delle sue capacità, della sua coerenza. E ha ragione, in un certo senso. Ci ha spiegato –ma lo sapevamo- che quando è salito al governo la situazione finanziaria italiana era disastrosa e la credibilità andava ancor peggio: è stato costretto a una politica di rigore, ed è consapevole dei sacrifici quasi insostenibili che gli italiani sono stati costretti ad affrontare. Ha indicato anche le cifre “trasferite” dai cittadini allo Stato perché potesse mantenere gli impegni presi (da Berlusconi e Tremonti, come ha ricordato), spiegando l’origine di quella incombente povertà che si respira ogni giorno di più –e che già soffoca Grecia e Spagna-. Tuttavia, forse perché è statisticamente poco rilevante, ha omesso di dire –ma lo sapevamo- che i trasferimenti hanno avuto come fonte assolutamente prevalente le fasce di reddito basso-medio della popolazione: i dipendenti statali, i pensionati, i lavoratori dipendenti in genere, che hanno il perfido privilegio di essere i contribuenti più interssanti in quanto stragrande maggioranza, peraltro impossibilitata a sottrarsi al “prelievo” perché tassata all’origine; le fasce di reddito medio-alto sono, come è ben noto, molto più sfuggenti (attraverso l’elusione o l’evasione fiscale). Quanto alla ricchezza, che è cosa differente dal reddito, è vero che i molto ricchi sono una minoranza, ma possiedono la maggioranza della ricchezza nazionale –“il 10 per cento delle famiglie più ricche possiede oltre il 40 per cento dell'intero ammontare di ricchezza netta” (Banca d’Italia)- e giustizia (e Costituzione) richiederebbe una loro “partecipazione” fiscale corrispondentemente importante (anche considerando che proprio fra di loro si annida la più alta evasione fiscale sui redditi): il che giustifica appieno l’idea di una tassazione patrimoniale fortemente progressiva, come avviene negli altri Paesi europei. In ogni caso i “grandi ricchi” sono tanti tanti di più degli appartenenti alla “casta” che ci ha così scandalizzato, e sono anche tanto tanto più ricchi del più ricco rappresentante di essa. Ma si fa prima a far pagare i redditi da lavoro dipendente e i pensionati; e ad applicare in maniera egualitaria l’IMU dimenticando l’ingiustizia di adottare “misure uguali fra disuguali” (Milani). Il Professore, però, è così: il Mercato e la sua competizione sono l’unico criterio di giustizia, e l’unica ancora di salvezza. “A chi ha sarà dato, e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha” (Mt. 13, 12), dice l’Evangelo: ma applicare questa massima all’economia non mi pare molto “cristiano”.
Giannino è Giannino. Estetica dell’economia, e tanto basta. Se n’è accorto persino l’acuto prof. Zingales, anche se ci ha messo sei mesi per leggere il curriculum del suo candidato premier.
Il dott. Ingroia è una brava persona, degna di ogni ammirazione. Dice cose giuste, e con passione. Come afferma lui stesso, però, non si costruisce una prospettiva di governo in due mesi. Se continuerà a occuparsi di politica e aprirà lo sguardo suo e di coloro che gli sono accanto alla complessità delle questioni sul tappeto, mediante una riflessione più articolata e solida, il contributo che ne verrà alla vita politica italiana sarà rilevante e prezioso.
Beppe Grillo dice le sue cose da tanto tempo, e ha avuto quasi sempre ragione. Ha un linguaggio che può piacere o no, un modo di porgersi –di imporsi, forse- più o meno gradevole. A me è sempre piaciuto, e mi guardo bene da limitare l’apprezzamento alla sua indubbia “vis comica”. E’ un incursore: compie dei raid efficaci intervenendo su aspetti diversi della realtà, e porta lo scompiglio scuotendo assetti, anche mentali, cristallizzati. Propone una politica corsara, legandosi in questo modo ad altre esperienze già sperimentate in Europa. Ma non riesco a sottrarmi all’impressione profonda che si tratti di una grande testimonianza di attenzione politica, di passione civile, di innovativa metodologia d’intervento, di alta capacità di cogliere problemi, sensazioni, angosce, paure, necessità, desideri, volontà di tanta gente che non ha voce –non ha altra voce oltre quella di Grillo-; ma credo che per passare dalla testimonianza al governo sia necessario ancora un tratto di concretezza organizzativa, di formazione di personale politico, di raggiungimento di consenso più partecipato e meno “aderito”. Certo è che il futuro si costruirà anche attraverso l’esperienza del Movimento 5 Stelle.
Dei coprotagonisti minori delle coalizioni non occorre spendere tante parole, perché sono in genere appiattiti sui leader principali. Con l’eccezione della Lega Nord, e di SEL.
La Lega sembra essere preda di una fase d’involuzione, forse solo un periodo di “convalescenza” dopo gli scandali degli scorsi mesi. Certo è che non si ascoltano se non slogan insistiti e datati, e sembra perduto ogni riferimento a quegli elementi di innovazione che pur si erano percepiti negli anni passati, malgrado il linguaggio un po’ semplificato di molti esponenti del partito.
SEL costituisce un tentativo importante e generoso di “partecipare” alla ricostruzione, superando la fase della mera protesta e dei suoi massimalismi. Certo la lotta appare titanica; e se Vendola è il solo cavaliere (come sembra di vedere) a scendere in campo, forse è anche eroica. Vendola è bravo, niente da dire; ma il partito dov’è? Non ci si può limitare a stigmatizzare la personalizzazione della politica (inventata da Craxi e Berlusconi, ma seguita poi da tutti) come causa di tutti i mali –e lo è-, se non ci si impegna a ricostruire momenti di formazione civile dei cittadini, di informazione complementare alla televisione, di presa di coscienza dei problemi generali della società (di quelli particolari non c’è bisogno di nessuno che insegni a vederli): si sono seppellite ideologie e partiti, per ritrovarci i “contratti con gli italiani” e i “meno male che Silvio c’è”. Presenza sul territorio ma non per parlare del territorio: per buttare lo sguardo al mondo intero e capire che problemi e soluzioni non riguardano noi soli, ma sono di tutti e devono essere per tutti.
Un pensiero conclusivo è dedicato a tutti coloro che saranno eletti. Lo prendo da un intervento di Joaquin Navarro Valls, già portavoce di Giovanni Paolo II, pubblicato oggi su “Repubblica”: “In definitiva, il male maggiore che provoca e affligge l’epoca contemporanea è il culto del potere, ossia la tendenza a considerare prioritario in senso assoluto l’utile individuale. L’ambizione è fatalmente sganciata da ogni criterio etico, finendo per costituire una minaccia per gli altri. E’ chiaro, all’opposto, che qualsiasi lavoro impone dei doveri specifici per essere fatto bene, sacrifici che si accompagnano a delle altrettanto precise responsabilità. Perché svolgere bene un compito vuol dire non solo saperlo fare, ma avere nell’agire un distacco sufficiente dal proprio Io, dalla propria soggettività”. Auguri a tutti (noi compresi).
Luigi Totaro