In data 17 aprile 2019 l’Autorità Idrica e la Regione Toscana hanno scritto quattro righe per rassicurare gli oppositori del dissalatore sul territorio elbano: “Questi impianti funzionano perfettamente, senza creare nessuna preoccupazione ambientale, gestionale o di altra natura. Il fatto che la maggioranza delle associazioni ambientaliste … abbia decretato la buona pratica del dissalatore e abbia apprezzato il progetto è la dimostrazione che ogni preoccupazione è infondata...”
Peccato che tutto questo non sia assolutamente rispondente alla realtà, e sarebbe sufficiente documentarsi con chi, seriamente, si preoccupa di indagare il fenomeno “dissalatori”.
Infatti il problema della salamoia immessa nell’ambiente marino sta preoccupando i ricercatori dell’Università Onu i quali, in uno studio pubblicato su Science of the Total Environment, sostengono che la crescita di impianti di dissalazione in tutto il mondo “creerà anche un dilemma salato: come trattare tutta la salamoia avanzata e carica di sostanze chimiche”.
La salamoia dei quasi 17.000 desalinizzatori sparsi per il mondo viene generalmente smaltita nelle acque marine, così come previsto anche per il dissalatore di Mola che dovrebbe scaricare nelle limpide acque di Lido, e per gli autori dello studio i maggiori rischi agli ecosistemi marini sono sia un innalzamento notevole della salinità dell’acqua, sia l’inquinamento con le sostanze chimiche tossiche usate come anti-incrostanti e anti-floccanti nel processo di desalinizzazione. A preoccupare di più la presenza di rame, cloro, magnesio, calcio, potassio, bromo, boro, stronzio, litio, rubidio e uranio.
Come se non bastasse, in questo studio si fa notare come “l’acqua salata (salamoia) esaurisce l’ossigeno disciolto nelle acque riceventi, si che l’alta salinità e la riduzione dei livelli di ossigeno disciolto possono avere un profondo impatto sugli organismi bentonici, che possono tradursi in effetti ecologici osservabili lungo tutta la catena alimentare”.
Lo studio continua affermando che alcune nazioni insulari che solitamente mancano di risorse idriche rinnovabili come Maldive, Qatar, Malta, Antigua Kuwait, Bahrein ecc, possono soddisfare tutti i loro bisogni idrici solo attraverso la desalinizzazione, ma a questo punto, per evitare danni da inquinamento, sarebbe opportuno impiantare anche aziende per l’utilizzo alternativo della salamoia: acquacoltura per irrigare specie tolleranti al sale, per produrre elettricità e recuperare il sale e i metalli che contiene. Purtroppo però “le tecnologie necessarie sono immature e oggi il recupero di queste risorse non è economicamente competitivo”. Dunque, quando l’utilizzo del dissalatore diviene indispensabile, non vi sono oggi alternative allo smaltimento in mare.
Lo studio conclude che “C’è l’urgente bisogno di rendere le tecnologie di desalinizzazione più accessibili e di estenderle a Paesi a basso reddito e a reddito medio-basso. Allo stesso tempo, però, dobbiamo affrontare gli aspetti potenzialmente negativi della desalinizzazione, ovvero il danno causato dalla salamoia e dall’inquinamento chimico all’ambiente marino e la salute umana”.
Dunque non sono sufficienti le poche e scarne righe tranquillizzanti dei burocrati dell’Autorità Idrica e della Regione Toscana, né quelle di qualche associazione ambientalista, che oltretutto non sembrano corrispondere al vero se dobbiamo dare credito a ciò che scrivono i ricercatori, e sorge inevitabile il sospetto che a muovere certe iniziative siano più gli interessi di altra natura che non le effettive necessità idriche del nostro territorio.
Più seriamente si dovrebbe cercare di capire se effettivamente l’Elba ha necessità di questa nuova risorsa idrica o se esistono sistemi alternativi. Mi è stato riferito, ad esempio, che quasi il 50% dell’acqua che proviene dalla Valle del Cornia, e che paghiamo, viene perduta per una rete idrica colabrodo; se ciò corrisponde a verità forse sarebbe più logico iniziare a ridurre le perdite piuttosto che produrre acqua inquinante, e a caro prezzo, che poi viene perduta; così come mi è stato riferito di abnormi quantità di acqua sorgiva che viene perduta perché lasciata scorrere verso il mare, e che potrebbe invece essere stoccata.
Appare quindi logico, con l’unico fine di essere più garantisti dell’ambiente e della salute dell’uomo che in questo ambiente vive e opera, prendere in considerazione vie alternative prima ancora di gettarsi sulla progettazione di un dissalatore. Le pressioni economiche devono cedere il passo, una volta per tutte, alle esigenze ambientali e morali.
Luciano Rossi