Il 20 novembre 1989 fu approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite La Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (CRC, Convention on the Right of the Child), che riconosce il bambino come soggetto attivo, titolare di diritti e paritario rispetto all’adulto. Il bambino come persona umana già compiuta, con una sua originalità, sue potenzialità e peculiari caratteristiche che devono essere sviluppate e rispettate. Un bambino che necessita di protezione, non in quanto essere debole, ma perché ha una dignità.
Tra le tante novità, sancisce la l’obbligatorietà e la gratuità per tutti per l’insegnamento primario e secondario e garantisce ai bambini con handicap (termine ancora in uso nel 1989) il diritto a condurre una vita piena, in condizioni che garantiscano dignità e partecipazione attiva.
Ma i diritti non basta affermarli! Sono passati 30 anni dall’approvazione della Convenzione e, nonostante tutto, molti diritti sono, ancora oggi, negati ai bambini in molte parti del mondo.
La radice di molti problemi riguardanti la condizione dell’infanzia sta proprio nel mancato riconoscimento delle capacità di agire autonomo e di partecipazione attiva.
Leggendo la Convenzione, infatti, non si può evitare di avere un’impressione di paradossalità. L’idea in sé è contraddittoria: il bambino è un cittadino al pari dell’adulto, ma è un soggetto che per poter esercitare i propri diritti ha bisogno dell’intervento costante dell’adulto.
Ecco qua il compito dell’adulto, che, agendo secondo il miglior interesse del bambino, deve porlo nelle condizioni di agire in modo autonomo e di esercitare quanto prima i propri diritti.
L’unica risorsa che abbiamo è l’educazione, decisiva perché permette di “insegnare” i diritti a chi ancora non sa di averli. Non è con lo studio chi si imparano i diritti, ma con l’esercizio all’interno delle relazioni tra adulti e bambini che, nella nostra società, si instaurano nei luoghi educativi.
Per capire a fondo la Convenzione, diceva Alfredo Carlo Moro, è necessario uscire da questo paradosso e superare l’idea che il bambino sia il cittadino di domani, perché ciò impedisce di cogliere a pieno il senso dell’estensione dei diritti di cittadinanza al soggetto di minore età. Consapevoli di questo, la CRC si trasforma in un programma pedagogico per l’intera società.
L’approvazione della CRC pertanto non è stato il punto di arrivo, bensì ha rappresentato un ulteriore punto di partenza – e continua ad esserlo - di un successivo processo storico verso la realizzazione dei diritti per ciascuno, a partire dalla consapevolezza che riconoscere questi diritti al bambino significa riconoscergli lo status di cittadino, un cittadino particolare, certamente, con bisogni specifici, ma un cittadino del presente.
Francesca Marotti
rappresentante degli studenti di Scienze della Formazione Primaria dell'Università di Firenze