Il Gruppo di San Rossore sta per ripartire dopo una pausa di riflessione critica avviata con l’ultimo libro Ambiente e territorio; i parchi tra crisi e rilancio. Non a caso fu già allora coinvolto il nuovo ministro dell’Ambiente Sergio Costa che scrisse la prefazione. Il titolo coglieva chiaramente il punto critico della situazione nazionale in cui i parchi, dopo tante chiacchiere e decisioni una peggio dell’altra, sguazzavano in una crisi istituzionale, culturale e finanziaria. Crisi dalla quale, come dice il titolo, non avremmo potuto uscire senza un rilancio e non semplicemente riprendendo il vecchio percorso che aveva portato alla rovinosa situazione in cui eravamo precipitati.
Hanno perciò sicuramente ragione gli amici del Gruppo, che ritengono possibile e necessaria una ripartenza in grado di mettere in pista idee nuove e iniziative efficaci dei parchi, attualmente o in sonno o che stanno per rimettere in discussione piani e progetti, con l’evidente rischio di accrescere confusione e danni, come si può già vedere nelle aree protette marino-costiere, colline e montagne della Toscana e della Liguria. Il tutto all’insegna dell’inquinamento di mari e fiumi, con la dispersione di plastiche e diogni tipo di rifiuti, oltre a ipotesi progettuali strambe come quelle che riguardano le attività sciistiche.
Leggi e normative sono state e continuano ad essere disinvoltamente ignorate e calpestate, perché l’economia, ovvero profitti e speculazioni vergognose non possono venir dopo l’ambiente.
Io ritengo, ma questo è un passaggio critico di cui finora si è detto troppo poco, che ambiente e economia non possono restare separate nei progetti e nei ruoli con l’ambiente subalterno.
La legge sui parchi registrò il suo momento più importante quando dopo tante esitazioni il Piano assunse quel ruolo fondamentale che ci portò a dire: il Piano “è” il Parco.
Ma come sappiamo fu presto chiaro che il Piano sarebbe dovuto partire dal Piano socio-economico, raccordando e integrando quei due aspetti. Questo raccordo rimase però quasi ovunque nei cassetti, spesso in compagnia del Piano stesso.
Anche questo, anziché stimolare sul piano nazionale, a partire dal Ministero dell’Ambiente, interventi e misure per rimediare agli effetti negativi che risultarono subito gravi e paralizzanti, avviò una fase indecorosa di tagli finanziari da parte del governo, per indurre i parchi a cercare soldi, permettendo ai privati interventi che con il Piano e il ruolo dei parchi non avevano nulla a che vedere.
D’altronde se il paese è finito nel mare di guai in cui è finito –parchi inclusi– l’ambiente, ci sarà pure qualche causa che se non sarà rimossa non ci farà uscire da questi casini.
Torno così da dove sono partito. Se i nostri parchi e i nostri territori tutelati e protetti non avranno voce in capitolo su scelte e decisioni che si ritiene non riguardino la gestione dell’ambiente possiamo anche chiuder bottega.
Tutto ciò non può che essere discusso sul piano nazionale, scomodando anche il Parlamento e il Governo (e non solo il Ministero dell’Ambiente.
Ovviamente coinvolgendo anche le regioni e gli enti locali.
Renzo Moschini