A bocce ferme si può provare a ragionare sui perché all’Elba ha vinto il no al referendum sul Comune unico, che, comunque, non avrebbe cancellato la fisionomia territoriale degli attuali 8 Municipi.
Perché altri Comuni toscani hanno scelto il sì nello stesso giorno in controtendenza con il no qui all’isola? Perché è prevalso lo spirito campanilista nell’epoca del villaggio globale e del digitale senza frontiere? Perché, in tempi grami, si sono tenuti stretti 8 Sindaci, 44 assessori (uno ogni 700 abitanti), 124 consiglieri (uno ogni 200) per amministrare la cosa pubblica, peraltro, con trascorsi di corruzione e di allegra finanza? Basti pensare che a Roma (quasi tre milioni di abitanti), il Municipio si è autoridotto assessori e consiglieri, sintonizzandosi con le politiche riformistiche per gli enti locali.
Perché le fusioni fra miniComuni si moltiplicano in tutta Europa, e non solo per ragioni di risparmio e di lotta agli sprechi, con l’intento di valorizzare le opportunità di progresso, e, invece, qui non decollano?
Pare proprio che al primo, vero impatto con le riforme/mutazioni istituzionali richieste dai tempi, siano risorte dalle brume del passato l’antica anima isolazionista e la mai sopita natura agropastorale. Il sì dei solo portoferraiesi sembra a prima vista autorizzare le diagnosi di comodo sul conto di un capoluogo prendi tutto. A una più meditata analisi, il voto affermativo si spiega più coerentemente con la tradizionale vocazione della città come porto di mare dalle secolari esperienze cosmopolite, e con la fioritura economica del periodo industriale durato fino al primo dopoguerra, ricco, peraltro, di fermenti culturali e di passioni intellettuali. Il no del resto dell’isola riflette, viceversa, la condizione di comunità confinate per secoli nelle pieghe delle montagne, lontano e al riparo dalle marine infestate dai pirati.
Dagli etruschi in poi l’Elba ha conosciuto millenni di “invasioni barbariche”, scoraggiando il più possibile la mescolanza di etnie e razze. Inoltre, le occupazioni e le spartizioni territoriali tra spagnoli e francesi, tra pisani e genovesi, hanno accentuato le separazioni municipalistiche e le diffidenze reciproche tra i diversi versanti dell’isola.
Più verso la nostra epoca, non hanno favorito l’evoluzione dei rapporti con i concittadini italiani i drammi patiti in solitudine fin dai primi del Novecento: dalle emigrazioni di massa nelle Americhe sull’onda della carestia provocata dalla distruzione dei vigneti per causa della filossera, e più tardi dallo sfruttamento da parte dei mercanti d’oltremare (genovesi in particolare) dei vini locali usati come taglio per quelli continentali e pagati quattro soldi.
Le storie, le vicende e le sofferenze dei giorni bui hanno influito sulle radicali trasformazioni dei nostri tempi. 60 anni di economia fondata esclusivamente sul boom del turismo balneare sono stati vissuti da tanti, comunque la si voglia girare, come una nuova “invasione barbarica”. Un fenomeno tumultuoso di consumismo del territorio che ha prodotto ricchezza e benessere inimmaginabili nel passato, anche se l’ambiente ha pagato il prezzo delle massicce invasioni di vacanzieri.
Insomma si è andato avanti confidando nello stellone delle bellezze isolane, piuttosto che sulla volontà di scommettere tutti assieme sull’avvenire con la modernizzazione coordinata delle strutture, delle infrastrutture e dei servizi di interesse vitale per gli elbani e per il loro futuro. Il procedere in ordine sparso indebolisce la voce degli amministratori, fiacca le difese contro le miopie dei Palazzi lontani, unicamente preoccupati di risparmiare risorse sulla pelle della popolazione, come sta succedendo con il ridimensionamento dell’ospedale di Portoferraio.
Si rischia che si radichi il ragionamento terra terra di taluni: tanto la stagione delle vacanze dura poco e non vale la pena di investire quattrini su un territorio tagliato fuori dalle maggiori correnti turistiche per gran parte dell’anno. Così, però, si rinnegano i valori dell’ospitalità e si restringono gli orizzonti della politica isolana.
Romano Bartoloni