Ennesimo "teatrino" istituzionale ad usum stultorum, non solo per quanto spiegato bene dal Fratini nel suo articolo, ma anche per l'inutilità dell'operazione anche se dovesse essere realizzata.
Faccio presente che conosco a menadito il posto visto che avendo lì l'ufficio, praticamente ci vivo.
Gli unici due accessi sono il portone su Calata Italia e il passaggio dietro Palazzo di Coppedé. I locali sono tutti angusti e i muri di mezzo metro di spessore quindi è impossibile pensare ad un ristoro e a locali di servizio debitamente capienti.
Chi si dovesse trovare ad uscire dalla sedicente stazione marittima correrebbe i seguenti rischi, anzi quasi certezze, di perdere la vita:
1) scivolare su quel clinker di merda che hanno messo al posto delle lastre di basolato rosa che c'erano (e che Fornino, debitamente avvertito da me che avevo visto che stavano per distruggerle ha messo nei magazzini comunali); 2) essere stirato da una macchina visto che l'uscita sulla calata dà sulla strada dopo una curva cieca per chi viene da Viale Tesei e su un rettilineo nell'altro senso con una teoria di macchine che provengono dalla biglietteria e che vanno ad imbarcarsi ai pontili Moby e Toremar (Massimo Nord) compiendo, fra l'altro, manovre da brivido, mentre l'uscita dalla parte dell'ex Molino dà su un complicato intrigo di transenne rugginose e orribili jersey da poco sostituiti con blocchi di cemento identici a quelli che abbelliscono l'alto fondale;
3) comprare una mazzetta di biglietti della lotteria per un tumore ai polmoni, dovuto alla potente combinazione di gas di scarico delle auto in sosta per l'imbarco che occupano tutti i piazzali, nonché la strada in entrambi i sensi transennata in base a non si sa quale diritto dagli addetti delle compagnie. a sommarsi con le esalazioni di IFO nere che provengono dai traghetti, notoriamente navi all'avanguardia nella transizione ecologica che per la nota compagnia di navigazione è cominciata nel 1974, anno del varo del Bastia, del Kiss e del Niki. Una gran bella prospettiva, non c'è che dire.
Silvio Pucci