Parlare del carcere non è facile, se poi lo vivi dal di dentro da servitore dello Stato diventa ancora più complicato. Il sistema penitenziario è in difficoltà, da anni si discute e dibatte sull’opportunità di una riforma senza risultati. In questi giorni, seppure in forma ancora embrionale è stato presento un progetto innovativo da Enrico Sbriglia e Alessandro De Rossi del CESP, Centro Europeo di Stuti Penitenziari, in cui si ipotizza il passaggio/la migrazione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria dal Ministero della Giustizia alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, come la Protezione Civile. Sottraendo le carceri dal controllo della toghe per affidarle a funzionari pubblici ovvero manager pubblici/privati in grado di gestirle. Tale complesso compito non dovrebbe essere di esclusiva competenza del Ministero della Giustizia, il cui ruolo è quello di arbitro e non di gestore, verificando che tutto venga realizzato nel rispetto della nostra Costituzione e delle leggi. Ciò potrebbe sicuramente giovare e migliorare la stessa immagine della Magistratura rafforzandone l’autonomia e l’indipendenza. In questi anni si è verificata una dicotomia tra il carcere della Costituzione e quello che, invece, in tutti questi decenni, attraverso la generalità dei governi che si sono avvicendati, si è realmente costituito. Non solo, sono state fatte delle riforme dichiarate a costo zero con progressivi tagli, ma anche mutilazioni di legittime speranze e costituiscono, a mio parere, una delle più grandi mistificazioni istituzionali. Di fronte ad una situazione diffusa e drammatica delle carceri, le risposte dovrebbero essere tempestive e straordinarie. L’urgenza se c’è e c’è, anche a seguito delle tragiche rivolte avvenute nelle carceri durante la pandemia nel marzo 2020, non può che esigere soluzioni altrettanto urgenti. La demolizione di un’idea della risorsa carcere quale luogo di sperimentazione, continua e ostinata, all’educazione del principio di responsabilità, individuale e collettiva, rivolta al rispetto delle norme costituzionali e dell’ordinamento penitenziario, avviene nel tempo coinvolgendo in modo bipartisan le forze politiche che hanno governato il paese. Basti pensare a quali ministri hanno favorito la conversione dell’art. 41 bis da misura straordinaria e a tempo in strumento definitivo nella lotta, senza mai epilogo e sempre farcita da teoremi, alle criminalità organizzate ovvero hanno avviato e imposto la costruzione di grandi carceri, per i quali il tempo medio di realizzazione è sempre superiore ai 10 se non 20 anni. Sarebbe opportuna un’autopsia di un’amministrazione penitenziaria che andrebbe resuscitata inalando l’ossigeno della Costituzione. In conclusione, ben venga l’ipotesi del CESP con il possibile passaggio del DAP a Palazzo Chigi. Solo se cambierà tutto, forse cambierà qualcosa.
Enzo Sossi