Le distinzioni e le divisioni nell'ambito delle amministrazioni comunali sono plausibili quando sussistono delle reali differenze d'identità, ad esempio di natura economica, oppure quando discendono da ragioni quantitative, quali possono essere un territorio molto ampio (magari associato ad una geografia particolarmente articolata) o un'alta densità di popolazione. Laddove tutto ciò non è o non è più le separatezze sono, nella migliore delle ipotesi, inutili; nella peggiore, dannose.
Affido alla stampa queste mie convinzioni, dopo averle esposte più volte in privato, sollecitato da Gisella Catuogno, che in un recentissimo articolo ad ampio respiro si sofferma in modo più puntuale su due realtà amministrative, quelle di Rio nell'Elba e di Rio Marina, auspicandone un futuro unitario. Neanch'io, infatti, so vedere una sola ragione che giustifichi, oggi, la prosecuzione di un cammino non convergente di due campanili tanto prossimi da confondere il suono delle loro campane.
Ci fu un tempo, sì, in cui lievitarono delle forti differenze tra Rio e la sua Marina, che furono per molti versi le stesse che insorsero tra le comunità collinari del versante occidentale e quelle delle loro marine. Esse furono, insieme, economiche, etniche e antropologico-culturali. Laddove, nei castelli, tese a perpetuarsi una classe dirigente costituita da notabili che fondavano il loro prestigio e il loro potere sulla proprietà terriera, nelle marine, nate sostanzialmente nel Settecento per sdoppiamento dai centri collinari, si affermò un ceto imprenditoriale volto all'intrapresa sul mare, disposto al rischio e sempre più bisognoso di regolarsi secondo norme capaci di rispondere ad esigenze peculiari. All'espansione delle marine, che nell'Ottocento fu prepotente e che vide dilagare il numero degli armatori, dei costruttori navali, dei comandanti e dei marinai, fece riscontro una forte immigrazione di individui provenienti dalla Liguria, dalla Toscana continentale, dalle province meridionali, che contribuirono allo sviluppo di una personalità propria delle comunità d'elezione. Queste non poterono che maturare, a un certo punto della loro storia, la consapevolezza di avere un'anima capace di rigenerarsi per forza interna, caduto ogni debito con le origini.
Non a caso la Marina di Rio che si volle raffigurare intorno al 1850 in un noto dipinto prescinde da Rio Castello e la Madonna che la benedice ha intorno una corona di bastimenti e di strumenti propri dell'arte navale.
Dei nuovi centri elbani, la Marina di Rio fu in primo a divenire comune autonomo, dopo la nascita del Regno d'Italia, con il nome di Rio Marina. Il distacco da Rio Castello si consumò, nel suo ultimo tratto, in un clima rovente, con gravi episodi di violenza. Si era, del resto, in un momento di passaggio, gravido di motivi di inquietudine: era cessata la regia cointeressata delle miniere, iniziata nel 1851; la marineria locale, forte di 180 bastimenti, scivolava tuttavia verso il declino; un'aristocrazia del denaro, nata con le 'carovane' nel Mar Nero, nel Mar d'Azov, nelle Americhe, mentre agitava la bandiera dell'autonomia, si contendeva il potere; fermenti nelle masse facevano presagire scenari politici e sociali inediti.
Da allora sono trascorsi oltre centotrent'anni: le miniere e i loro protagonisti sono solo un ricordo, le popolazioni, che raggiunsero, insieme, le cinquemila unità, si sono più che dimezzate; l'economia va in un'unica direzione e il dato antropologico-culturale appare ormai tanto sbiadito, nelle sue differenze, da apparire indistinto.
Personalmente inclino, anche per un'antica appartenenza politica, alla difesa e al mantenimento delle amministrazioni locali, che sono il primo, indispensabile referente del cittadino che si rapporta con i poteri pubblici (né faccio eccezione per le amministrazioni provinciali, che vorrei vedere potenziate attraverso l'assunzione di poteri oggi affidati ad una pletora di soggetti istituzionali, anziché disciolte con una decisione che giudico sciagurata), ma talora il progressivo indebolimento della capacità di un'amministrazione di soddisfare le esigenze degli amministrati e di presidiare efficacemente il territorio che le è affidato rende necessaria una scelta.
E bene sarebbe che la si facesse senza attendere l'imposizione di un'autorità lontana, che domani racconterebbe di deprecabili inerzie e di inescusabili indifferenze riguardo al bene comune sotto questo cielo.
Gianfranco Vanagolli