E’ morto Mikhail Gorbaciov, l’ultimo presidente dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (Urss), l’uomo che cercò di trasformare il socialismo reale ossificato in una nuova speranza e non ci riuscì, un po’ per l’incapacità e l’impossibilità di tenere unito un Paese/Impero enorme che sembrava ormai esausto e invecchiato, un po’ per gli attacchi interni di un fronte conservatore (che poi ha partorito il putinismo) ed esterni del fronte occidentale, delle democrazie liberali diventate liberiste, che videro l’occasione per liquidare quella che ancora molti nel mondo – nonostante tutto – vedevano come un’alternativa di progresso, di decretare la fine della storia con la vittoria dell’Occidente. Un’illusione, come forse sapeva Gorbaciov e come dimostra il mondo che abbiamo ereditato dal crollo dell’Urss e del muro di Berlino dove la democrazia che doveva sostituire il comunismo sovietico si è trasformata in democrature, in regimi conservatori e illiberali, e dove le alternative sono ormai l’islamismo jihadista disperato o gli stati/mercato cinese e russo.
Gorbaciov tentò forse l’impossibile e l’Occidente che ora lo piange ipocritamente – a cominciare dall’amico di Reagan, Eltsin e Putin Silvio Berlusconi – lasciò che l’ala staliniana del Partito Comunista Sovietico tentasse un colpo di Stato che si è trasformato nel bombardamento del Parlamento a Mosca e nella presa del potere da parte di Boris Eltsin, l’ubriacone ex comunista che le cancellerie occidentali misero al potere in Russia per frantumare l’Unione sovietica e umiliare Gorbaciov e il suo tentativo di riformare il comunismo. E’ tutto scritto, minuziosamente, nel libro “Shock Economy” di Naomi Klein, che non a caso ha come sottotitolo ”L’ascesa del capitalismo dei disastri”. Un libro di inchiesta e profezia pubblicato nel 2007 e che spiega che quel che si voleva evitare era in realtà una riforma in senso democratico del comunismo e che Gorbaciov era per questo il nemico da eliminare, mettendo in ginocchio l’URSS e consegnandola a una rapace classe dirigente di oligarchi neocapitalisti. Quelle di oggi per Gorbaciov sono in gran parte le lacrime di coccodrillo di vecchi caimani e dei loro eredi.
Gorbaciov è stato anche l’uomo di Chernobyl, la tragedia nucleare che dimostrò tutta la sua indecisione e di quanto la sua Perestroika non fosse riuscita a scalfire la parete oscura e incestuosa che legava e lega il nucleare civile a quello militare, di quanto l’apparato di segretezza che lo circondava (passato armi e bagagli prima a Eltsin e poi a Putin) fosse ormai incistato nel gigantesco Paese che si stava disfacendo, condizionandone il passato, il presente e il futuro.
Quel disastro nucleare mostrò al mondo tutta l’inconsistenza di una propaganda che aveva definito quello di Chernobyl il nucleare più sicuro del mondo (lo stesso dicevano i giapponesi nel 2011 per Fukushima Daiichi), ma anche che il regime comunista aveva ancora una forte base di consenso, tanto da spingere migliaia di liquidatori a sacrificarsi per spegnere l’inferno nucleare praticamente a mani nude, in cambio della nomina, spesso postuma, ad eroi dell’Unione sovietica e del lavoro. Un consenso dimostrato – tranne nei Paesi Baltici – dalla vittoria in tutte le Repubblica dell’Urss (Ucraina compresa) del mantenimento dell’Unione Sovietica. Un risultato ribaltato nel giro di un anno dalla dichiarazione di indipendenza di quasi tutte le Repubbliche, quasi sempre da parte di ex capi del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, diventati da un giorno all’altro leader nazionalisti e ferventi credenti nell’ortodossia cristiana o nell’Islam, trasformandosi da rivoluzionari internazionalisti in conservatori neoliberisti a capo di satrapie illiberali ma che fanno affari d’oro con le democrazie occidentali e i russi e i cinesi, svendendo loro risorse di interi Stati diventati proprietà private di clan familiari che hanno scambiato gli scritti di Marx, Engel e Lenin con improbabili libretti del compendio del pensiero reazionario di un oscuro dittatore periferico, che però vengono fatti studiare a scuola come fossero la Bibbia o i libretto rosso di Mao.
Quel disastro nucleare spinse l’ormai ex presidente di in Paese che non c’era più a fondare l’ONG ambientalista Green Cross International che infatti oggi ricorda che «Le radici di Green Cross International possono essere fatte risalire al periodo in cui il presidente Mikhail Gorbaciov era in carica come Capo di Stato dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, un periodo durante il quale ha parlato ripetutamente delle minacce interconnesse che l’umanità e la nostra Terra devono affrontare a causa di armi nucleari, armi chimiche, lo sviluppo insostenibile e la decimazione dell’ecologia del pianeta indotta dall’uomo».
Gorbaciov è morto, ma il mondo che lo ha estromesso, isolato, umiliato è ancora ben vivo. E non è il mondo pacifico e libero dalle armi nucleari, un mondo più ecologico e meno inquinato, che sognava Gorbaciov. E’ il mondo della guerra in Ucraina, del cadavere radioattivo della centrale nucleare di Chernobyl dal quale sono scappati i russi di Putin dopo averla imprudentemente occupata, trascinandosi dietro una scia di giovani soldati con le stesse malattie dei liquidatori del 1986. E’ il mondo della più grande centrale nucleare d’Europa, Zaporizhzhia, bombardata in una guerra tra due Paesi che nel 1990 erano ancora un unico Paese, in un Paese, l’Ucraina, che ora ripudia un passato sovietico al quale ha dato diversi segretari del PCUS e presidenti dell’URSS, a cominciare dall’ucraino Nikita Sergeevič Chruščëv che, alla fine di una notte alcoolica, regalò all’Ucraina la Crimea che ora i russi si sono ripresa.
E’ vero, Gorbaciov ha cambiato il mondo, ma il mondo non è cambiato come lui avrebbe voluto: il difficile percorso che aveva segnato tra le paludi del passato e un incerto futuro, quello di un nuovo socialismo democratico e di un nuovo internazionalismo di pace con gli uomini e il pianeta, era forse la cosa più pericolosa per chi aveva vinto e per chi nell’ex URSS si apprestava a salire sull’accogliente carro del vincitore liberista. Per questo quel cammino è stato cancellato, spargendoci sopra il sale della recriminazione nazionalista, del sovranismo, del tradizionalismo e dell’ipocrisia liberal. Per questo i caimani piangono lacrime (per ora) vittoriose.
Umberto Mazzantini
da greenreport.it