Nel furore interventista che sta ammorbando le menti di tanti contemporanei, un solo governante europeo è riuscito a dire qualcosa di sensato per disinnescare il suicidio di massa in atto, Papa Francesco.
E’ stata la persona più autorevole che fin’ora abbiamo sentito argomentare rispettando il principio di non contraddizione: se continuiamo a inviare armi si lavora per la guerra, non per la pace.
E invece vediamo sventolare allegramente bandiere arcobaleno da chi intende la parola pace come un regolamento di conti, ovviamente fatto passare per “ripristino della giustizia”.
Prima delle popolazioni martoriate dai bombardamenti, a mio avviso è stata fatta violenza alle parole pace, giustizia e libertà: dovremmo usare questi sostantivi con più cautela e studiare meglio la storia, evitando semplificazioni ideologiche.
Scopriremmo ad esempio che la pace non deriva mai dallo sterminio e dalla sottomissione dei popoli (abbiamo avuto vera pace dopo il 1918 o dopo il 1945?). La pace non si può ottenere con le provocazioni o senza il rispetto delle diversità, la pace non è né a buon mercato né conquistata una volta per tutte. La pace cresce con la civiltà fondata sulla compassione e si disintegra col desiderio di potenza.
Libertà e giustizia non hanno niente a che vedere con la guerra, può pensarlo solo chi è fortemente malato di ideologia. Ma i nostri intellettuali “politicamente corretti” e ben nutriti dal sistema mediatico, ci spiegano che per ristabilire l’ordine bisogna imbracciare il fucile e rovinare la vita alla popolazione di un intero continente.
Una ristretta élite mondiale controlla l’informazione, umiliandola a triste propaganda di guerra, stipendiano giornalisti e intellettuali, scienziati e influenzer, provocano e sostengono le “rivoluzioni” che gli fanno comodo e reprimono senza pietà chi non si adegua, considerando l’umanità come zootecnica.
Non abbiamo altra possibilità che scendere in piazza, non per impugnare armi e neanche per sventolare logore bandiere arcobaleno, bensì per riaffermare che la pace non è quella dei cimiteri, ma quella delle persone in cui palpita ancora l’anelito alla vita, alla creatività e al desiderio di condurre una vita dignitosa per noi e per i nostri figli e nipoti.
Graziano Rinaldi