L’Italia è una Repubblica…lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Così recita l’articolo 1 della nostra Costituzione e non c’è altro da dire. In primavera il popolo (elbano) è andato a votare, esercitando così la sua sovranità e ha inequivocabilmente bocciato il percorso dal basso che avrebbe dovuto portare alla semplificazione istituzionale. Il popolo è stato sovrano e una grande maggioranza di esso ha espresso le proprie ragioni, facendole vincere sulle ragioni di chi il Comune unico lo voleva.
E’ ancora presto per fare un bilancio degli esiti del referendum ma, a senso, questi non potranno che essere negativi. Stupisce l’assordante silenzio proveniente dalle amministrazioni comunali, eccezion fatta per Rio nell’Elba, il cui Sindaco, a favore del Comune unico, si è più volte espresso, pubblicamente e sui social network. Chi ha perso, ha perso, beninteso, ma chi è stato premiato dai cittadini elettori avrebbe il dovere di precisare che cosa si deve fare, indicare strategie per il proprio Comune, indirizzi, stilare una lista dei problemi (che non sono mica scomparsi…) e un’agenda delle questioni da affrontare. I problemi, anche gravi, verranno a galla presto, non ci piove. Come nativo, resto sinceramente basito quando leggo che la Regione si disinteressa della questione “Sanità” all’isola d’Elba. Elba, ma quale Elba? Quella che ha cessato di esistere con il referendum? Oppure, i sindaci pensano che la Regione possa elaborare otto strategie sanitarie diverse, una per ciascun Comune? Stesso problema emerge dalla questione dei rapporti con l’Autorità Portuale: che peso si pensa possano avere otto Sindaci rispetto alla compagine piombinese, per la quale l’Elba è, da anni, una mucca da mungere senza pietà?
Va detto, però, che non sempre le ragioni di chi è sovrano e ha vinto sono buone ragioni. Penso che l’Elba abbia perso, con quella occasione, un treno importante, che non è detto che possa essere ripreso in altra forma. Non mi riferisco soltanto al fatto che in altro-alto loco (Regione? Stato?) potrebbero maturare progetti di semplificazione istituzionale dettati più da necessità pratiche che dalla pur sacrosanta esigenza di tagliare i costi dell’amministrazione. Né al fatto che, nell’immediato futuro, chi si è accorpato da solo, e in maniera intelligente e razionale, costituirà un interlocutore più attendibile, credibile e ascoltato (la politica è, anche, questo, ragazzi!) di chi preferisce giocare ai quattro (otto) cantoni.
Mi riferisco al fatto che, in queste condizioni, e lo dico a malincuore ma a ragion veduta, investire nella nostra isola è molto difficile. La parola investimento deve essere qui intesa in senso ampio: non solo denari ma anche progetti, idee, volontà di creare cose durature. La frammentazione rende tutto più difficile, lungo e penoso. Mi limito a fare due esempi, più vicini al settore del quale più direttamente mi occupo: il patrimonio culturale. Premetto che non credo che i beni culturali debbano essenzialmente servire per favorire un aumento quantitativo del turismo. Servono anche, ed eventualmente, per quello ma, prioritariamente, sono memoria e identità di una comunità, sono oggetti che ci permettono di dire da dove veniamo e dove speriamo di andare. Il patrimonio culturale è indicatore prezioso dello stato di salute della collettività. Quando sono ben amministrati, significa che la comunità sta bene, quando sono allo sfacelo, significa che la comunità comincia a star male, che è preda di un disagio, che non riconosce più i propri valori identitari. Molto spesso, il degrado culturale anticipa di qualche tempo ben più gravi degradi sociali e culturali. Magari la cultura non servirà sempre a mangiare. Però serve per vivere, sempre (come scrisse Antonio Capitano sul Fatto Quotidiano del 12 luglio.
Esempio numero 1. Da anni il sito della villa romana delle Grotte, luogo in cui siamo stati tutti in gita da bambini o da ragazzi, è abbandonato e sepolto dalle erbacce (altro che il “giardino romano” che Orlanda Pancrazzi sognava di ricostruire…). La politica non sa risolvere la controversia in atto fra i tre protagonisti dell’increscioso groviglio: i proprietari del terreno, il Comune e la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana. Intanto, il tempo passa e siamo, almeno, al secondo anno di chiusura del sito, che viene così sottratto alla fruibilità dei visitatori esterno ed espropriato alla comunità isolana. Le Grotte sono state per decenni un simbolo e un biglietto da visita dell’Elba, adesso sono uscite dal circuito della conoscenza. Ho detto Elba, e non Portoferraio, perché lì sta il punto (o, meglio, uno dei punti). Le Grotte vanno restituite agli elbani, prima che ai portoferraiesi. Si troverebbero, allora, anche i mezzi per gestire al meglio quel sito. Se, un anno, la manutenzione non possono farla gli operai comunali di Portoferraio, potrebbero intervenire quelli di Porto Azzurro o di Capoliveri (e qui, cari cittadini, ci sarebbe anche un bel risparmio di risorse pubbliche).
Esempio numero 2. Con fatica, i Comuni di Portoferraio, di Marciana e di Rio nell’Elba, hanno mandato avanti, per alcuni anni, una gestione associata dei tre Musei Archeologici. Poi, questa intesa si è sfilacciata e il solo Rio Elba ha tenuto duro e mantenuto le promesse. La politica non ha fatto niente ma, quello che è più grave, non ha chiesto niente e ha preferito che andasse in pezzi quel poco di coordinamento che c’era. Ognun per sé e Dio (?) per tutti, con il brillante risultato che, adesso, il museo della Linguella è invecchiato in maniera irrecuperabile, il museo di Marciana appare sempre più isolato e quello di Rio Elba ha problemi per le aperture. Si capisce che i rispettivi assessori alla cultura non parlano fra loro e nascondono le rispettive lacune organizzative dietro la scarsità di finanziamenti (ma la seconda non giustifica le prime). Non è, però, mancata soltanto una politica comprensoriale del patrimonio culturale. E’ mancato, e questo è gravissimo, il contatto delle istituzioni con le associazioni attive nel settore (Italia Nostra, fra tutti) e con le imprese che operano nel turismo, che avrebbero tutto l’interesse a fornire un supporto, se non finanziario, certamente logistico.
In questa catena di frammentazioni, distribuite su più piani e su più livelli, operare è spesso frustrante, sempre difficile. Prova di questo è l’esondazione di eventi cui siamo sottoposti da una sera all’altra, senza tregua e senza risparmio: presentazioni, inaugurazioni, premiazioni, giochi, fuochi, si succedono senza posa. Si tratta, nella quasi totalità dei casi, di eventi di valore e di prestigio, presi in sé. Ma sono effimeri e dopo una settimana se ne è persa la memoria. Soprattutto, non lasciano niente alla comunità locale, niente ai giovani, alle loro scuole.
Concludo con una nota positiva. Dopo la metà di settembre, “Aithale” (https://www.facebook.com/pages/Aithale-Terra-mare-e-uomini-nellArcipelago-Toscano/291309027577300) riapre lo scavo archeologico di San Giovanni, grazie alla generosità e alla ospitalità della famiglia Gasparri, di Assoshipping, della Accademia della Cucina-Delegazione dell’isola d’Elba e di Italia Nostra-Sezione Isola d’Elba. Vi invito a venirci a trovare.
Come si vede, non sempre sono i piccoli poteri e le caste a vincere.
A volte si trovano piani sui è possibile parlare linguaggi comprensibili.
Franco Cambi (Aithale)