Lo ammetto, sono un nostalgico della politica che si faceva un tempo. Quella che partiva dalle sezioni di partito per svilupparsi poi nelle varie amministrazioni pubbliche.
I partiti garantivano la formazione della classe dirigente che bene o male assicuravano il governo delle città.
La grande partecipazione elettorale sostanzialmente legittimava anche l’alternanza nella gestione del potere.
Peraltro, l’art. 49, della nostra Costituzione stabilisce che “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. I partiti visti come asse centrale della politica.
Negli anni ’90, con Tangentopoli, comincia l’opera di destrutturazione dei partiti. Di colpo tutti cominciavano a vergognarsi di avere avuto una tessera di partito in tasca. Cominciavano a nascere alleanze strane, civiche, fuori dai partiti. Sembrava che la scoperta della cosiddetta “società civile” avrebbe apportato il buon governo nelle città. Mentre i partiti continuavano a vergognarsi della propria storia.
Il risultato è davanti agli ogli occhi di tutti: non si capisce più una beata minchia. Nascono alleanze spurie, senza valori coerenti; liste elettorali in cui dentro puoi trovare di tutto: gente di destra e di sinistra malamente amalgamati; lestofanti in cerca di gloria e di potere; personaggi dalla dubbia provenienza; riciclati di tangentopoli. Per anni abbiamo vissuto questa ubriacatura.
Oramai per molti la politica non rappresenta più quella nobile attività umana.
I giochi di potere e la volontà di imporre la propria persona prevalgono inesorabilmente.
Dopo la discesa in campo di quel ricco signore con le procure alle calcagna, sono cambiati i paradigmi: la politica diventa spettacolo, apparenza, corsa per il potere, ricerca di personaggi noti a scapito spesso delle capacità amministrative. Continuiamo ad assistere a uno spettacolo indecoroso. Le elezioni dirette hanno trasformato i sindaci in potestà, piccoli ducetti, padri padroni, con consigli comunali che non servono a nulla, men che meno a controllare l’operato dei primi cittadini.
Ognuno fa per sé.
I partiti costretti a piegarsi, a sostenere, loro malgrado, le decisioni prese autonomamente dai piccoli ducetti.
Nel nostro piccolo scoglio, i partiti del “campo progressista” trovano il modo, come sempre, di dividersi. Si realizza una ulteriore divisione dell’atomo, seguendo logiche ai più sconosciute. “Bene Comune” presenta una candidatura alternativa al sindaco uscente Zini, col rischio di perdere senza nemmeno giocare la partita. Dall’altra parte si assiste alle autocandidature di un imprenditore, neo salvatori della patria, che per il fatto essere bravo in affari, dovrebbe garantire di per se la buona amministrazione della cosa pubblica. Mi permetto di mettere in dubbio questo assioma. Berlusconi docet. Se poi si presenta con il sostegno amichevole di un generale fellone in lite con il proprio cervello, ma abbastanza scaltro nel promuovere il proprio libro infarcito di luoghi comuni e di schifezze di vario genere, la delusione e la confusione è massima. I programmi diventano una inutile appendice.
Poi qualcuno si lamenta che la gente non va più a votare. Ma come fa uno a districarsi nel bordello che diventata la politica?
Salvatore Insalaco