‘La Repubblica’ ha intitolato la pagina dedicata al voto del Senato sulla legge dei parchi; ‘Doppiette e trivelle l’ultimo assalto all’oro verde d’Italia’.-Due leggi per sfruttare i parchi, ambientalisti in rivolta-
A protestare sono il CTS, FAI, Italia Nostra ,Lipu, Mountain Wilderness, Pronatura, Touring club italiano e WWF Italia e pure Enpa e Lav.
A sostegno abbiamo letto solo una lunga dichiarazione di Federparchi .
Nessun commento da parte delle regioni e degli enti locali che dei parchi sono con lo stato i principali titolari. Nessun commento neppure da parte del ministero. L’associazione dei parchi torna a ribadire che il testo è ormai in discussione da un po’ di anni ed essendo ormai chiaro che la legge 394 andava finalmente cambiata perché molte ‘cose non hanno funzionato in modo macroscopico’ e ‘innumerevoli sono stati i momenti di confronto’ è bene approvarlo definitivamente e presto.
Di questi ‘macroscopici impedimenti’ per la verità non vi è traccia né nei documenti del Senato né tanto meno in quelli di Federparchi. E non si capisce neppure perché se erano così seri e vistosi quando la Commissione che modificò il Regolamento dei Beni culturali che ai parchi tolse la competenza sul paesaggio (che oggi giustamente gli si vuole restituire) e il Ministro Matteoli volle e ottenne che la delega riguardasse anche i parchi, la Commissione dei 24 non la toccò. E quando gli fu chiesto come mai il sottosegretario del ministero dell’ambiente rispose che la legge 394 andava bene così. Cosa è successo dopo da renderne tanto urgente una ‘manutenzione’ cosi rilevante e pesante?
Stando anche al documento di sostegno di Federparchi al testo che di consensi ne incontra così pochi, il punto critico sta nei piani dei parchi che solo alcuni parchi nazionali hanno approvato. Il testo infatti unifica i due piani previsti dalla 394 non avendo in effetti giustificazione alcuna la loro separazione. Ma non dice perché la maggior parte dei parchi nazionali è inadempiente mentre non sono stati e non lo sono la maggior parte dei parchi regionali. Il piano è lo stesso ma gli uni lo hanno fatto in molti casi addirittura prima che entrasse in vigore la 394 e quelli nazionali
che fanno capo principalmente al ministero no; dipende dalla legge? Certamente no, visto che comunque alcuni parchi ,magari in tempi più lunghi di quelli, assolutamente irrealistici che erano stati previsti, il loro piano lo hanno fatto e approvato.
E dipende dalla legge che i fondi comunitari specie al sud non si riusciva a utilizzarli seriamente fintantoché il ministro alla coesione Barca ha preso le redini della situazione perché i progetti da presentare alla Comunità europea fossero davvero tali e cantierabili.
E’ una caso che in nessuno nei documenti -per la verità pochi e spesso poco succosi-a sostegno dei testi in discussione non vi sia alcun cenno a quanto stabilito dalla legge 426 di qualche anno successiva alla 394 che parlava e parla di Alpi, APE, piccole isole, coste ossia degli obiettivi e riferimenti concreti per quella politica di sistema a cui avrebbero dovuto puntare proprio i piani dei parchi. Può essere un caso o è semplicemente una omissione per non dire che il fallimento dei piani è dovuto principalmente alla mancanza di una politica nazionale di sistema e non a ‘impedimenti’ della legge. O meglio la legge c’entra ma solo perché fu amputata delle sedi e degli strumenti di cui solo ora e all’ultimo tuffo ci si è ricordati.
Eppure anche recentemente si è tornati a parlare delle piccole isole, dei parchi di Mare e d’Appennino tra Liguria, Emilia e Toscana, di macroregioni alpine.
Ecco la ragione delle tante proteste ambientaliste- annacquando e di molto il vino dei piani e delle finalità del parco assegnandogli addirittura compiti che li snaturano- non si imbocca la strada del sistema ma il suo contrario.
E’ sconcertante insomma che nel momento in cui sul piano comunitario si punta su politiche economiche che risultino meno aggressive e rovinose per l’ambiente e il territorio per i parchi si preveda la possibilità di attività per niente o assai poco compatibili purché si faccia pagare dazio per far cassa. Certe attività peraltro che riguardino le Dolomiti o le Apuane potrebbero comportare la perdita di riconoscimenti internazionali particolarmente preziosi per un turismo ecosostenibile.
Insomma nel momento in cui i parchi e le aree protette dovrebbero riuscire a sostenere sempre più quelle realtà locali penalizzate dalla speculazione, il consumo del territorio, l’inquinamento, le frane si scoprono le royalty.
Ecco dove sono finite le tante chiacchere sulla green-economy
Non entro infine sul tema doppiette e fauna se non per dire che con i tempi che corrono che qui si annidi una questione vitale fatico non poco a crederlo specie se ha fatto qualche esperienza dove queste questioni hanno tenuto banco con vivacità.
A meno che ovviamente anche così si pensi di far cassa.
Renzo Moschini