E’ finalmente tregua a Gaza, la più grande prigione a cielo aperto del mondo diventata la più grande fossa comune del mondo. Un mondo di macerie e sangue, fame e malattie. Qualcosa di mai visto dopo la seconda guerra mondiale. Qualcosa di inconcepibile e inaudito che lascerà una scia di sofferenze ed odio difficile da estinguere e da cancellare, punteggiata dai nomi di bambini e donne che nessuno pronuncia nell’occidente complice del genocidio ma che sono tanti spilli conficcati nella pelle sanguinante del popolo palestinese trascinato da Hamas in una guerra senza speranza.
Festeggia la gente di Gaza, pensando al cibo che finalmente arriverà, alla nuova tenda dove soffrire meno il freddo, al ritorno in una casa distrutta da ricostruire e dove piangere i morti sepolti nella polvere, all’acqua finalmente potabile, a un po’ di elettricità per far luce ai bambini che vogliono studiare in scuole che non ci sono più e per operare i malati e curare i mutilati in ospedali ridotti in macerie.
Festeggia Gaza, festeggia una normalità che per noi sarebbe un incubo. Festeggia il ritornare nella prigione, sfuggiti al massacro. Ma dopo la gioia verrà il pianto, la conta dei morti, il ritrovamento di parenti ed amici che si speravano dispersi e che spunteranno come fantasmi dalle macerie della ricostruzione sulle quali si stanno affollando già gli avvoltoi.
Piange e ride Gaza e cerca di non guardare al futuro, contenta della tregua in una tragedia senza fine. E’ il lusso ritrovato di avere un oggi da vivere senza troppa paura, di avere un domani immediato per sfamare i bambini, per dare un po’ di tempo ai vecchi che non conoscono nient’altra Patria che una prigione trasformata in cimitero.
Cantano le donne stanche di guerra e gli ostaggi israeliani scampati e che rivedranno la luce, usciranno dai tunnel per riabbracciare i loro parenti che li aspettano dopo centinaia di giorni di rabbia e speranza.
Niente è più necessario della tregua, della pace, del sorriso di una bambina che mangia un pasto caldo in mezzo alle macerie. Di fronte a questo tutto può essere accettato, anche di essere governati da un’Autorità Nazionale Palestinese che ha ormai perso ogni credibilità, trasformandosi nella polizia dei bantustan che applica la legge dell’apartheid al suo stesso popolo.
Il genocidio di Gaza, dove è stato permesso quel che in qualsiasi altro Paese del modo non sarebbe stato permesso, ci insegna che, in questo mondo in cui ormai si affrontano due destre globali divise e unite da odi settari e che si cibano della paura e del rancore, niente è più prezioso della pace, ma anche che ci sarà pace solo se verranno riconosciuti ovunque ai popoli e agli uomini e alle donne e ai bambini gli stessi diritti e le stesse libertà.
E a Gaza festeggia e piange un popolo senza diritti e senza libertà, mentre si prepara il perdono per i suoi carnefici.
Umberto Mazzantini