Chiedetelo a loro, come dice lo slogan di una pubblicità. Chiedetelo agli abitanti del Buraccio, ai comitati cittadini, a quelli che c’erano e non dormivano. Chiedete se mai, almeno per una volta, si sono sentiti tutelati, protetti, o almeno ascoltati. O se sono stati ignorati, snobbati, perfino irrisi, finché l’evidenza dei fatti ha dimostrato chi aveva ragione e chi aveva torto.
La storia dello smaltimento dei rifiuti all’Elba è la classica storia delle grandi opere. Cominciano bene e finiscono in un grande spreco di denaro pubblico.
Ricapitoliamo: il progetto per la realizzazione dell'impianto del Buraccio era partito prospettando la definitiva risoluzione dello smaltimento dei rifiuti sull'Isola d'Elba, garantendo la differenziazione dei rifiuti e la produzione di energia elettrica al termine del processo di gassificazione del materiale plastico in pillole, c.d. CDR.
Il Commissario Straordinario Roberto Daviddi, che agiva per conto di tutti gli otto Comuni elbani su nomina regionale, nella convenzione sottoscritta con la società realizzatrice e gestrice dell'impianto, la Daneco Tecnimont Ecologia Spa, aveva giustamente ed obbligatoriamente preteso delle garanzie per il buon funzionamento del servizio e per il rispetto della tutela della salute e dell'ambiente. Infatti oltre le penali imposte alla società in caso di inadempimento, il disciplinare di gestione allegato alla convenzione, al punto 1.6 prevedeva l'istituzione di una Commissione di vigilanza e controllo che rispondesse solo ai Comuni.
Quindi, con il decreto n. 185 del 29.07.1998, il Commissario Daviddi, in adempimento della clausola, aveva nominato a presiedere la commissione di vigilanza l'Archittetto Mario Ferrari, attuale candidato sindaco della lista “ViviAmo Portoferraio”e che all'epoca era funzionario nella Comunità Montana.
Nel frattempo l'impianto era entrato in funzione ma da subito aveva presentato problemi insormontabili: infatti nel materiale organico erano presenti frammenti di plastica e di vetro, così da rendere impossibile la trasformazione in compost mentre nel materiale plastico destinato all'inceneritore si rintracciavano frazioni di umido e di vetro, che ne impedivano una facile combustione e quindi la trasformazione in energia elettrica. Così le pillole di CDR si ammassavano sul piazzale e l'organico veniva lasciato a marcire in una piscina dalla quale provenivano odori nauseabondi e urticanti. Oltretutto l'impianto di gassificazione funzionava un giorno si e un giorno no ed il materiale accumulato, fortemente infiammabile provocava improvvisi incendi, durante uno dei quali si scoprì che le porte dei capannoni non rispondevano ai sistemi di emergenza.
Altra pericolosa conseguenza della superficiale differenziazione dei rifiuti era che la caldaia non raggiungeva come da progetto la temperatura necessaria per impedire la produzione di sostanze altamente cancerogene, quali le diossine, ed il camino del gassificatore emanava sostanze tossiche (monossido ed ossido di azoto, acido cloridrico e sostanze organiche volatili). Inoltre dal processo di combustione residuavano cassoni di rifiuti assolutamente pericolosi, cioè di ceneri fini come il borotalco, che poi sparivano senza lasciare traccia, mentre avrebbero richiesto particolari attenzioni nel trasporto, da certificarsi in ogni passaggio.
Per non dire dell’assoluta mancanza di precauzioni affinché le acque utilizzate per i frequenti lavaggi dei rifiuti, dei piazzali e degli impianti non rifluissero direttamente nel fosso di Mar dei Carpisi e quindi andassero ad inquinare la falda acquifera.
E il nostro Architetto Ferrari? Perché non denunciava questo sfacelo?
Eppure l’ARPAT di Piombino gli inviava rapporti quotidiani ed il suo collaboratore, Ing. Luciano Fantoni, gli rimetteva relazioni dettagliate assolutamente allarmanti, come quelle nel novembre '98 e e quelle nel marzo '99.
A parte informare il Commissario Daviddi, con missive come quella in data 15.10.98 e quella in data 29.03.99, non c’è traccia di una sua denuncia pubblica di questi fatti e non risulta da parte sua alcun avvertimento alla cittadinanza che aveva l’incarico di garantire. Eppure egli doveva ben sapere che il Commissario non aveva quei poteri di vigilanza e controllo che invece spettavano precipuamente a lui medesimo.
Così è stato che i nodi sono finalmente venuti al pettine solo grazie all’iniziativa di alcuni semplici cittadini: infatti due comitati, dopo aver ottenuto a fatica la documentazione necessaria, hanno presentato un esposto alla Procura di Livorno, che ha nominato due periti, Professori Valentini e Ottenga, perché verificassero quanto denunciato dai cittadini. I consulenti della Procura hanno confermato in pieno i sospetti dei comitati e in breve tempo tutti i vertici della Daneco ed il Commissario Daviddi sono stati rinviati a giudizio per non aver rispettato i parametri prescritti dal Ministero per le immissioni di sostanze nocive nell’aria.
Anche l’Architetto Ferrari doveva partecipare al giudizio come testimone chiamato dalla parte offesa, e cioè dai comitati cittadini, affinché riferisse sui controlli che aveva o non aveva effettuato sulla Daneco secondo il suo incarico di Coordinatore della Commissione di Vigilanza. Purtroppo all’udienza del 4.06.2001 i dirigenti Daneco hanno chiesto al Giudice di estinguere il processo con il pagamento di un’oblazione ed il Giudice, ritenuto che gli imputati avessero fornito la prova di aver effettivamente eliminato le conseguenze del reato, ha concesso loro di pagare l’oblazione richiesta. Quindi il processo è stato chiuso senza la possibilità di fare definitiva chiarezza sull’accaduto.
Questa è la fine della storia: il Commissario Daviddi è stato nominato consulente per i rifiuti nel Comune di Campo e, dopo aver attivato gli arbitri per far valere l'inadempimento della Daneco, ha lasciato nelle peste i Comuni, dimettendosi dall'incarico di commissario.
La Daneco ha ottenuto dagli arbitri un risarcimento miliardario in danno dei Comuni.
ESA, società partecipata per oltre il 90% dal Comune di Portoferraio, si è accollata il baraccone del Buraccio e ha cominciato a tartassare i cittadini con le bollette sui rifiuti.
E Ferrari? Lui ha continuato la sua carriera, passando dalla Comunità Montana all’Ente Inutile dell’Unione dei Comuni, fallito dopo pochi anni di attività. E ora è candidato Sindaco per Portoferraio.
Scegliere come sindaco una persona che ha già ampiamente dimostrato di non saper tutelare né la salute dei cittadini, né l’interesse collettivo, significa non cercare nemmeno di migliorare; salvo poi lamentarsi per altri cinque anni delle tasse sui rifiuti e degli scarsi servizi ambientali.
Cambiare si può; e si può fare ADESSO.
Per la lettura integrale del documento si rinvia al sito del M5S PORTOFERRAIO:
http://isoladelba5stelle.altervista.org/
MoVimento 5 Stelle Portoferraio
Abbiamo a lungo riflettuto prima di pubblicare il testo integrale di questa nota, tenuto conto delle gravi accuse che in essa si formulano ad un candidato (ed anche ad altre persone) in ordine al suo comportamento professionale in una complicata e datata (anche se importante) vicenda. E le perplessità ci derivavano soprattutto dal non poter materialmente operare un diretto controllo sui numerosi atti e vicende citate.
Ovvio che il M5S si assume tutte le responsabilità sul piano morale delle sue affermazioni.
Altrettanto scontato è che mettiamo a disposizione del chiamato in causa lo spazio per una replica (se lo riterrà opportuno) ai rilievi che gli vengono mossi ed alle considerazioni che sono espresse nel documento.
Sergio Rossi