Roberto Bernabò dopo le vicende deludenti de La Concordia ma anche altre situazioni ugualmente critiche che riguardano quella ‘grande area vasta della costa’ torna a denunciare perché questa realtà fatica ad emergere. Eppure i dati riproposti anche di recente da una indagine di Legambiente parlano chiaro e ci ricordano che molti dei nostri guai a terra e a mare anche nel santuario dei cetacei precedono il disastro del Giglio. E ci ricordano pure -anche se pochi sembrano ricordarlo- che a queste crescenti difficoltà ha contribuito e non poco il modo balordo con cui si è proceduto al ‘riordino’(sic) istituzionale a partire dalle province e alle chiacchere da vernacoliere sull’area vasta.
E deve essere pure chiaro come risulta sorprendentemente dai dati forniti in questi giorni sulla capacità di spesa istituzionale in ambiti delicatissimi come il riassetto idrogeologico dove il piatto piange alla grande ma dove si trovano significativi residui passivi per l’incapacità di progettare e realizzare interventi seri non cestinabili come invece è accaduto e accade anche nelle migliori famiglie istituzionali. Così si sono persi e si perdono finanziamenti comunitari e nazionali e non soltanto al sud.
Il ‘modello toscano’ di cui in più occasioni si torna a parlare ha lasciato innegabilmente tracce profonde che riscopriamo quando discutiamo ad esempio la legge Marson. Ma anche quel modello già con il PIT aveva mostrato troppi limiti e buchi. Tra questi indubbiamente una indebolita presenza politico-istituzionale vistosamente emersa nel dibattito sulle Apuane ma anche in molte di quelle realtà richiamate da Bernabò. Una buona occasione potrebbe essere l’approvazione della nuova legge regionale sulle aree protette e anche quella per rilanciare i parchi nazionali che non hanno bisogno solo di nuovi direttivi ma anche di predisporre e attuare nuovi progetti per la tutela del territorio e dell’ambiente.
Renzo Moschini