La grotta di Reale e la sua fauna preistorica sono tornate di recente alla ribalta grazie a un accurato studio bibliografico condotto dal dott. Fabio Rolla, attuale proprietario del terreno. Nota fin dagli anni settanta del Settecento, quando fu scoperta casualmente, la cavità si apre nel pendio della collina calcarea sovrastante il Fosso di Reale presso Porto Azzurro e si addentra per 35 metri presentandosi piuttosto stretta all’imboccatura (circa 2,5 metri) e abbastanza larga (circa 8 metri) sul fondo. La sua altitudine è di 40 metri sul livello del mare, dal quale dista poco più di mezzo km.
Scavato soprattutto da Del Campana e da Malatesta, rispettivamente agli inizi e alla metà del secolo scorso, l’antro ha restituito molte ossa fossili riferibili alle seguenti specie animali:
• orso delle caverne (parecchi resti ossei, comunque prevalenti); com’è noto l’ursus spelaeus adulto raggiungeva dimensioni ragguardevoli (fino a una tonnellata di peso e tre metri di altezza) ed era temibile per l’uomo;
• orso (arctos?), più piccolo del precedente;
• orso affine al tibetano (M. Rustioni & P. Mazza, 1993): il thibetan bear è un piccolo orso nero il cui areale attuale va dall’Iran al Giappone;
• rinoceronte Merckii: era un animale massiccio che popolava aree a clima caldo;
• ippopotamo anfibio: era un mammifero di grande mole che sembra essersi estinto in Italia con i primi rigori della glaciazione würmiana;
• leone delle caverne: la felis spelaea era un predatore che si adattava anche a climi non troppo freddi;
• lince;
• cavallo;
• cervo elafo: il grosso ungulato ruminante era una delle prede più ambìte dai cacciatori paleolitici; è stato calcolato (J. C. D. Clark, 1971, 1972) che con la carne effettivamente consumabile di un animale adulto (114 kg, ossia il 60% del peso totale), una tribù di 50 persone poteva sfamarsi per due giorni;
• capriolo;
• cinghiale;
• lepre comune;
• lepre bianca: il lepus timidus preferiva gli ambienti a clima abbastanza freddo;
• microfauna: in gran parte è andata dispersa e comunque non è stata studiata.
Tale associazione faunistica, connotata dalla presenza di grandi pachidermi e da specie di bosco/foresta, e la tipologia dello strato in cui le ossa furono rinvenute (argilla rossa), orientano verso un clima ancora moderatamente caldo ma con tendenza al freddo.
Non c’è dubbio che gli animali suddetti siano arrivati all’Elba nel corso di un periodo glaciale, allorché il livello del mare si abbassò tanto da far emergere la dorsale sottomarina, oggi profonda circa 50 metri, che collega l’Elba al Piombinese. Ma quando? Quante migliaia di anni fa? La risposta non è facile, stante il fatto che nella grotta non sono stati trovati strumenti litici lasciati dall’uomo e non sono state effettuate analisi di altro genere (pollini, microfaune, ecc.) che avrebbero potuto fornire più di un indicatore cronologico. Va considerato, inoltre, che gli studi finora realizzati sulla grotta di Reale sono troppo ‘datati’ e che, di conseguenza, sarebbe necessaria una revisione dei materiali condotta con moderne tecniche di indagine. Tuttavia vediamo qual è, allo stato attuale delle ricerche, l’ipotesi più plausibile.
Ammesso e concesso, in omaggio alla caratura scientifica di D. Del Campana (1910) e A. Malatesta (1950), che i resti fossili provengano tutti da un unico strato (e non da due livelli sovrapposti, come si sarebbe indotti a pensare d’istinto), l’arco temporale più favorevole per consentire l’associazione delle specie animali citate è il Würm I (circa 75-60 mila anni fa), un periodo temperato e umido “ne devenant réellement froid que vers la fin” (H. De Lumley e Altri, 1973). Proprio verso i 65.000 anni or sono, poco prima o poco dopo, con la regressione del livello del mare fino a -60 metri (E. Bonifay, 1973), potrebbe essersi creata contemporaneamente una triplice necessaria condizione, cioè la ‘continentalità’ dell’Elba, la sopravvivenza dei pachidermi di clima caldo (rinoceronte e ippopotamo) e la comparsa di piccoli animali (lepre bianca) richiamati da temperature che stavano volgendo al freddo. Una cronologia del genere concorderebbe, per esempio, con quanto è stato rilevato nella grotta dell’Arma (riviera ligure di ponente) dove, insieme con associazioni faunistiche analoghe a quelle della caverna di Reale, sono stati rinvenuti anche attrezzi di pietra usati durante il Würm I da comunità umane del paleolitico medio. Inoltre è stato possibile definire, come scrive l’Associazione Gente Comune di Arma di Taggia, che lì “le colline circostanti erano ricoperte da estese foreste di pino silvestre, di quercia e noccioli” e che alle foci dei fossi “si formarono vasti depositi alluvionali con zone paludose, ove trovavano un ambiente naturale ideale gli ultimi esemplari di ippopotamo”.
Il geologo Malatesta supponeva che la grotta di Reale avesse altre camere e altri cunicoli, i cui accessi potrebbero essere stati ostruiti nel tempo da frane più o meno potenti. La stessa impressione è stata riportata dalla maggior parte degli archeologi e dei paleontologi che hanno visitato la spelonca e i suoi dintorni di tipo carsico. E’una ragione in più per tentare di svelarne i misteri riprendendo scavi e ricerche.
Michelangelo Zecchini