Prevedere il collasso di un ecosistema naturale individuando gli indicatori sentinella che ne determinano la crisi. E’ questo il tema centrale dello studio di Lisandro Benedetti-Cecchi, Laura Tamburello, Elena Maggi e Fabio Bulleri del dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa appena pubblicato sulla rivista internazionale “Current Biology”. La ricerca è durata sette anni ed è la prima sperimentazione di questa portata che avviene in condizioni naturali: per testare il modello teorico e i relativi indicatori, gli studiosi dell’Ateneo pisano hanno preso in esame le foreste di alghe dell’isola di Capraia nell’arcipelago toscano.
I ricercatori sono partiti dall’ipotesi che gli ecosistemi naturali seguono le stesse regole di altri sistemi complessi, come ad esempio i mercati finanziari o le reti neurali e che dunque le dinamiche che provocano ad esempio la perdita della biodiversità sono paragonabili a quelle che causano un’improvvisa crisi dei mercati oppure l’insorgenza di attacchi epilettici. In particolare, in ambito ecologico, la preoccupazione è che la continua antropizzazione della biosfera possa portare molti ecosistemi naturali vicino al collasso e che l’intero pianeta possa di fatto avvicinarsi ad una soglia critica di transizione. Ma l’avvicinarsi di una crisi può essere però prevista da due indicatori: la varianza, cioè l’aumento nel tempo della ampiezza delle fluttuazioni, e l’autocorrelazione, ovvero la gradualità con cui il sistema varia.
“Di fatto abbiamo studiato una vera e propria foresta in miniatura – ha spiegato Lisandro Benedetti-Cecchi – l’alga bruna arborescente Cystoseira amentacea forma lo strato elevato, con una chioma di 30-40 cm di altezza, e ad essa corrisponde un ‘sottobosco’ che favorisce la vita di numerose specie, come alghe più piccole e invertebrati quali spugne, idroidi o briozoi. Lo strato arborescente però è sensibile all’inquinamento e la sua riduzione apre la strada alla colonizzazione dei ‘feltri algali’ costituiti per lo più da alghe filamentose che creano un ecosistema alternativo caratterizzato da minore biodiversità”.
In pratica, l’esperimento dei biologi dell’Ateneo pisano ha indotto una riduzione controllata della biomassa di Cystoseira amentacea in aree circoscritte costituite da quadrati di 50 cm di lato dislocati sulla battigia, fino ad indurre la transizione allo stato dominato dai feltri algali, misurandone l’avanzamento nel corso degli anni.
“Abbiamo potuto evidenziare – hanno concluso i ricercatori dell’Università di Pisa - la diversa sensibilità degli indicatori in funzione del grado di variabilità interna al sistema: l’autocorrelazione è risultata più efficace in condizioni di moderate fluttuazioni indotte da mareggiate e eventi estremi di essiccamento. La varianza, invece, è risultata l’indicatore più efficace in condizioni di elevate fluttuazioni, anch’esse indotte sperimentalmente attraverso la rimozione di quantità contenute di biomassa”.