Una serie di appuntamenti prossimi ed in particolare quello di Federparchi del 29 gennaio a Roma al quale interverrà anche una rappresentanza del Gruppo di San Rossore discuteranno dello situazione dei parchi e delle aree protette alla vigilia del rinnovo del parlamento e del governo.
Una situazione si è detto che presenta luci ed ombre e differenze marcate anche tra parchi nazionali e regionali. I primi nonostante i non pochi problemi specie di ordine finanziario –con l’eccezione delle aree protette marine che sono decisamente le più malmesse- non se la passerebbero poi così male grazie anche ad alcuni recenti provvedimenti sulle indennità ai presidenti etc. Più grave invece la condizione dei parchi regionali anche in regioni che avevano fatto storicamente da battistrada come il Piemonte, l’Emilia Romagna, la Liguria, la stessa Toscana dove non solo i tagli sono stati più pesanti ma ancor più penalizzanti le misure normative che hanno accentrato in più d’un caso burocraticamente gestioni e uffici che ne ridimensioneranno pesantemente il ruolo.
Su questo sfondo -si aggiunge- farebbe ben sperare il recente provvedimento varato dal senato e ora passato alla Camera in attesa di approvazione definitiva nella prossima legislatura. Si è detto e ripetuto anche in vista del prossimo incontro romano che in quel testo c’è del buono perché si è modificata la legge quadro che così com’è non funzionava più a dovere.
Da questo sommario tratteggio della situazione si avverte subito cosa abbia significato non fare a tempo debito quella terza conferenza nazionale dei parchi a lungo e inutilmente proposta e richiesta.
Già questa differenzazione infatti tra parchi nazionali che tutto sommato se la sarebbero cavata senza troppo danni e quelli regionali che invece pur avendo alle spalle nel complesso un radicamento sul territorio più solido e sperimentato stanno assai peggio non convince. E non convince innanzitutto non già perché sembra usare due pesi e due misure ma perché sembra ricondurre e ridurre se non esclusivamente principalmente la vicenda ai tagli finanziari. Che è ovvio abbiano inciso e pesato seriamente ma quel che è avvenuto ed è maturato anche sul piano legislativo non riguarda solo e spesso neppure prioritariamente le rinunce i sacrifici dovuti ai tagli che naturalmente ci sono stati e non lievi. C’è qualche traccia nelle politiche nazionali che riveli un impegno ministeriale per avviare finalmente –tanto più in tempi di carestia- quella politica nazionale volta a costituire un sistema che non può riguardare solo i parchi nazionali? Quel sistema di cui è tornato a parlare opportunamente e correttamente il ministro Clini ormai in uscita con la sua importante e significativa direttiva programmatica che fa leva sui principi e le finalità della 394 che il ministro evidentemente non considera un impedimento e un freno come i nostri senatori e fans.
E poi perché visto che i parchi nazionali non ne escono sconquassati le aree protette marine invece sì? Non si dica per carità che qui è la legge frena e impedisce perché è una colossale e vecchissima fandonia che è sconfortante vedere rimessa per l’ennesima volta in circolazione.
La legge del senato da questo punto di vista lo conferma alla grande; le aree protette marine infatti devono non solo restare ma diventare ancor più esclusivo appannaggio del ministero con tanti saluti a quel sistema che per decollare non può non contare sull’impegno finora mancato e naufragato tra stato, regioni ed enti locali. Tanto è vero che il comitato nazionale dei parchi previsto dal testo del senato salutato come un buon risultato esclude sia le regioni che gli enti locali. Che si affanni pure l’unione europea a richiamarci alle sue direttive e disposizioni sul mare, sulle coste o sul sistema alpino noi ci paghiamo dazio con le salate infrazioni ma chi se ne frega. Lavori pure il ministro Barca perché gli oltre 50 miliardi che è riuscito a portare a casa dall’UE a sostegno di progetti al sud in grado di raccordare realtà locali e regionali e nazionali in cui rientra un ruolo ben chiarito e proposto dei parchi e delle aree protette per le ‘aree interne’.
Possibile che non si avverta l’assurdità di una situazione che in questi anni e specialmente negli ultimi ha visto ai più diversi tavoli discutere –sovente di brutto- stato, regioni ed enti locali sulle più varie questioni, i parchi e le aree protette non siamo mai –dico mai –stati oggetto di un confronto, di una ricerca di intese che al solito risultano poi complicatissime ogni volta che si tratta di rinnovare presidenze e organi dei parchi regionali. Una vicenda scabrosa come quella dello Stelvio che torna in questi giorni al centro di vivaci polemiche c’è una qualche sede dove la si discute visto che il Presidente della Repubblica non firmò il provvedimento perché mancava il coinvolgimento della Lombardia? E del Santuario dei cetacei carico di problemi e ancor più di veleni c’è una sede dove se ne discute dove –lo capisco- sarebbe piuttosto doverlo fare con tre regioni a cui il senato ha deciso di togliere ogni titolarità sul mare.
E’ chiaro che la terza Conferenza sarebbe stata la sede e l’occasione naturale per discutere di questi problemi senza trucchi e senza inganni e dove nessuno avrebbe potuto rifarsela solo con la legge come scusa delle tante inadempienze. Perché nessuno, ad esempio, anche tra tanti che sottoscrivono appelli a sostegno del nostro patrimonio artistico e paesaggistico, considera una ferita per i parchi avergli sottratto il paesaggio? E’ giusto salutare la decisione che i piani dei parchi non saranno più due ma uno solo ma a differenza di prima e di quanto dice la legge mancherà paesaggio. E non è strano che anche nei tanti e giusti appelli non soltanto del FAI sulla tutela del paesaggio e dell’ambiente i parchi mai o quasi siano citati? Se non vogliamo –come dice il WWF- che i parchi divengano delle pro-loco o poco più, bisogna ripartire da bomba ossia da quel che prevedeva oltre un decennio fa la Riforma Bassanini sul ruolo del ministero, delle regioni , degli locali e quindi dei parchi.
Renzo Moschini