Secondo la recentissima sentenza del Consiglio di Stato del 5 luglio, «E’ legittimo il Regolamento della regione Umbria che richiede ai cacciatori un contributo economico per le attività connesse al piano di riduzione dei cinghiali in un Ambito Territoriale di Caccia ove il popolamento non sia stato contenuto con il piano».
Dopo aver chiarito la natura degli Ambiti Territoriali di Caccia per individuare i relativi poteri., la Sezione III del Consiglio di Stato ha ricordato che «le Sezioni unite della Corte di cassazione 28 dicembre 2017, n. 31114 hanno affermato che la costituzione degli Ambiti Territoriali di Caccia, prevista dall’art. 14, l. n. 157 del 1992, manifesta uno standard inderogabile di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (Corte cost. n. 124 del 2016). Gli Ambiti Territoriali di Caccia perseguono fini che trascendono una dimensione puramente privata (Cass., sez. lav., 27 settembre 2012, n. 16467). Si tratta di strutture associative senza scopo di lucro, regolate con proprio statuto, a cui sono affidati compiti di rilevanza pubblicistica connessi all’organizzazione del prelievo venatorio e alla gestione faunistica nel territorio di competenza, finalizzati al perseguimento degli obiettivi stabiliti nel piano faunistico-venatorio».
Quindi, come sottolinea in un comunicato il Consiglio di Stato, «La normativa sulla caccia rende direttamente compartecipi i soggetti interessati ad un aspetto ludico della vita associata, ai fini della migliore gestione della risorsa costituita dalla selvaggina cacciabile, espressamente dichiarata bene indisponibile dello Stato (art. 1, l. n. 157 del 1992). Gli Ambiti Territoriali di Caccia, pur non appartenendo alle amministrazioni pubbliche tradizionalmente concepite, svolgono funzioni pubbliche di cura dell’interesse comune, sottoposte al vaglio del giudice amministrativo, mediante l’esercizio di poteri autoritativi».
Chiarito questo, per la III Sezione del Consiglio di Stato «E’ legittimo il Regolamento regionale che richiede ai cacciatori un contributo economico per le attività connesse al piano di riduzione dei cinghiali in un Ambito Territoriale di caccia ove il popolamento non sia stato contenuto con il piano di abbattimento. Non si arriverebbe a chiedere il contributo ai cacciatori, infatti, ove si facesse buon uso della quota dei finanziamenti della Regione e se il contenimento del popolamento dei cinghiali, attraverso i relativi Piani (e, dunque, la caccia), non avesse fallito».
Insomma, se dopo aver introdotto i cinghiali in giro per l’Italia, isole comprese, i cacciatori non sono in grado di contenerne la popolazione, devono almeno risarcire i danni fatti da animali che vengono mantenuti in gran numero al solo scopo “ludico” venatorio.