Il problema dell’eccessiva presenza di plastica sul nostro pianeta e, in particolare, nei nostri mari è talmente attuale che ne parlano un po’ tutti, molte volte a sproposito. Chi invece recentemente ne ha parlato con cognizione di causa è stato l’amico Alessandro Giannì, direttore delle campagne Greenpeace Italia, il prototipo di “ambientalista NON estremista” come amo definirlo e principale motivo per cui da sempre lo sostengo e aiuto come volontario. Quando è tornato sulla sua amata Elba, qualche settimana fa, per raccogliere dati in mare con il Consiglio nazionale delle Ricerche, ha tenuto un seminario a Sant’Andrea (Marciana) per spiegare il problema e ha sottolineato che il primo contrasto possibile a questa piaga è l’eliminazione della cosidetta “plastica monouso”, quella cioè che viene utilizzata per un intervallo di tempo piccolissimo rimanendo poi per migliaia di anni ad inquinare la Terra.
Il non-estremismo in questo caso sta nel fatto che non si pretende, ad esempio, di smettere di usare presidi medico-ospedalieri come le siringhe, bensì oggetti di cui si può con semplicità o con poco disagio fare a meno. Tra questi gli imballaggi del cibo. Chiunque può provare a fare questo semplice esperimento: dopo aver fatto la spesa in un qualunque supermercato si abbia l’accortezza di destinare le relative scatole plastiche, imballaggi, coperture, bottiglie in un sacchetto dedicato. Al termine del consumo sarà facile constatare l’enorme impatto che i soli acquisti di una singola spesa hanno causato all’ambiente: sarà negativamente sorprendente.
La plastica nell’ambiente si scinde in porzioni sempre più piccole per cui oggi questo tipo di rifiuto viene catalogato a seconda del diametro medio delle particelle. Scopriamo così che si può ridurre fino a dimensioni dell’ordine del miliardesimo di metro a formare la così detta “nanoplastica”, recentemente oggetto di molti studi scientifici. In particolare, dopo essere stato dimostrato con certezza che viene assorbita dai tessuti corporei dei pesci, uno studio svedese ha persino dimostrato il superamento della barriera emato-encefalica associando disturbi comportamentali di alcuni individui alla presenza di nanoplastica nel cervello (di questo studio ha riferito anche Greenreport nell’articolo “Le nanoplastiche danneggiano il cervello dei pesci” a cui si rimanda per completezza).
L’Unione Europea ha recentemente adottato una nuova Direttiva sulla plastica monouso (SUP- Single Use Plastic) che gli Stati Membri saranno tenuti a recepire entro il 2021. La Direttiva mette al bando diversi prodotti in plastica monouso (tra i quali per esempio stoviglie, piatti, contenitori per cibi e bevande in polistirolo espanso, aste per palloncini), promuove la riduzione dei consumi di alcuni oggetti in plastica e rende le aziende produttrici finanziariamente responsabili per la raccolta, la gestione e lo smaltimento di alcuni rifiuti in plastica.
Localmente si è sentito parlare di “Isola Plastic Free”, ma che significa ? È il solito slogan di moda che cavalcare male non fa, oppure c’è la reale, profonda intenzione di rendere l’Elba un luogo virtuoso in questo senso ? Purtroppo chi amministra quest’Isola non è il candido Consiglio Comunale Marinese dei Ragazzi, che potrebbe indurre il necessario cambio di mentalità. Quindi assistiamo invece a fenomeni sconfortanti come ad esempio la clamorosa virata dell’unico produttore locale di acqua in bottiglia verso una linea di imbottigliamento in plastica, mentre era rinomato per aver da sempre usato vetro (sia chiaro, non ho conoscenza e termini per giudicare nel merito di chi sia la colpa di una decisione così scellerata, magari ciò è stato assurdamente loro imposto da qualche legge o norma sanitaria. Il fatto comunque è che prima usavano il vetro, ora la plastica).
Ma a parte singoli casi, è il generico locale modus operandi a far temere che “Plastic Free” rimanga uno slogan. Un aneddoto può aiutare a capire…
Molti anni fa, quando ancora pochi si riempivano la bocca con le parole “Area Marina Protetta” io ne parlai ad alcuni albergatori, ricevendo all’inizio un simpatico sostegno. Pensai allora di essere finito in un micro mondo magico dove sarebbe stato possibile “anticipare i tempi” rispetto al panorama nazionale. Ma durante una riunione uno di loro mi chiese: “Ma così come alle Ghiaie, sarà comunque possibile pescare da terra vero? ..no, sai, perché io ho alcuni clienti che vogliono pescare...”.
Mi caddero le… certezze. Come dire: si, si, se l’operazione non da noia al nostro lavoro (e ancor meglio se ne avremo un ritorno economico) facciamola pure, ma non siamo disposti a pagare alcun pegno o a rinunciare alla più piccola cosa in suo nome. E tutto questo senza neppure ragionare sul merito dell’iniziativa. Men che meno arrischiarsi di perdere cinque clienti che vogliono pescare acquisendone magari cinquanta amanti del mare. Saremo quindi davvero pronti ad “imporre” zero plastica monouso agli ospiti ? O sarà più facile sbandierare il logo “Plastic Free” ma continuare a fare esattamente come stiamo facendo?
Se tanto mi da tanto, non credo che su quest’Isola possa partire un atteggiamento anticipatore dei tempi, virtuoso, che faccia seriamente del “Plastic Free” una bandiera da sventolare con orgoglio e imponendo che, davvero, non si venda plastica monouso in alcun esercizio dell’Isola, con seri controlli e relative sanzioni. Magari con manifesti del tipo: “Nei nostri negozi e supermercati non troverete plastica. Se non siete disposti a sopportare gli inevitabili piccoli disagi che ciò comporta, non venite qui”. Oppure: “Il vostro spritz sarà fresco e gustoso, ma senza cannuccia”. Slogan talmente provocatori e profondi che l’Elba balzerebbe davvero sulle prime pagine di tutti i media mondiali. Una pubblicità gratuita che selezionerebbe automaticamente la tipologia di visitatore, allontanando gli insensibili al problema e convogliando qui pletore di turisti realmente amanti del bello e della Natura.
Marco Sartore