Negli anni e nei mesi scorsi, prima Legambiente e poi la Capitaneria di Porto di Portoferraio e diversi diving center, avevano lanciato l’allarme su una moria di massa di pinne nobilis - le nacchere, che all’Elba vengono chiamate gnacchere - a Giannutri, Giglio, Scoglio d’Affrica e Isola d’Elba. Lo stesso fenomeno viene segnalato da anni in tutto il Mediterraneo e interi “giardini” di queste magnifiche conchiglie sono ormai morti.
Ma dall’Isola d’Elba arriva un segnale in controtendenza: «Si avvicina il Natale e sembra che il mare ci voglia regalare una piccola speranza in un periodo di brutte notizie – spiega Lisa Ardita, guida ambientale subacquea del direttivo di Legambiente Arcipelago Toscano - Durante un'immersione allo Scoglietto di Portoferraio su un tratto di fondale pianeggiante ho trovato il più bello dei regali di Natale per un subacqueo: una Pinna nobilis ancora viva!»
La Pinna nobilis è il mollusco endemico bivalve più grande del Mediterraneo: raggiungere un metro di lunghezza, 40 cm di larghezza e arriva a vivere 27 anni. Un tempo si trovava frequentemente, sia nelle acque di transizione, sia nelle praterie di Posidonia oceanica e dava rifugio a molte specie sulla superficie e all’interno delle valve.
A causa del crescente inquinamento, di tecniche di pesca distruttive e del prelievo a scopo commerciale che negli anni ‘80 ne hanno causato il forte declino, Pinna nobilis è tutelata da normative nazionali e internazionali, tra le quali la Convenzione di Barcellona del 1976 e la Direttiva Habitat del 1992. A partire dal 2016, sono stati registrati – prima in Spagna, Italia e Francia e poi in tutto il Mediterraneo - eventi di mortalità di massa che non hanno risparmiato le acque dell’Arcipelago Toscano. La colpa di questa catastrofe ecologica senza precedenti è dell’endoparassita Haplosporidium pinnae e altri micobatteri, agenti patogeni sembrerebbero a loro volta essere attivati da concause ambientali legate ai cambiamenti climatici sulle quali sta indagando la scienza. In particolare la ricerca punta il dito sull’aumento medio della temperatura del Mar Mediterraneo che pare aver attivato e amplificato la risposta parassitaria nella Pinna nobilis.
Recentemente, anche l'ultima area nella quale il mollusco pareva aver resistito, la laguna veneta, ha perso l’80% degli esemplari di nacchere e la Lista Rossa dell’International Union for Conservation of Nature (IUCN) ormai consifdera questi splendidi bivalvi mediterranei a rischio estinzione in natura.
La Ardita sottolinea che «La presenza all’Elba di questo esemplare ancora vivo, anche se un giovane di piccole dimensioni, è una buona notizia che lascia intravedere una possibilità per la sopravvivenza della specie. La speranza è che ci siano altri esemplari sopravvissuti e che essi abbiano sviluppato resistenze ai parassiti patogeni, trasmettendole poi alle generazioni successive e, attraverso la dispersione delle larve, ritornare a popolare le aree costiere mediterranee. Il ritrovamento è stato segnalato alla dott.ssa Cecilia Mancusi dell'ARPAT e a Nicola Nurra ricercatore, elbano e docente di biologia marina presso il Dipartimento di Scienze della Vita dell'Università di Torino. Questa estate ho avuto il piacere di immergermi con lui e di parlare proprio delle criticità legate a P. nobilis. Nicola mi ha raccontato che stava tentando, con molte difficoltà, di accedere ai permessi necessari per realizzare un'indagine preliminare sulla presenza di P. nobilis ancora vitali nelle acque della zona di tutela biologica Le Ghiaie-Lo Scoglietto – Capo Bianco. Le difficoltà sono in parte da attribuire all’assenza sul territorio elbano di un organo preposto alla tutela specifica del mare e del suo ambiente. Permessi e autorizzazioni hanno tardato a lungo e l’indagine preliminare è stata condotta esclusivamente in maniera parziale e incompleta. Probabilmente, se sul territorio fosse stata presente un'Area marina protetta, questo non sarebbe accaduto, ma piuttosto il monitoraggio delle pinne sarebbe iniziato nelle fasi iniziali dell’epidemia, quando Legambiente ne segnalò l’urgenza nel 2018 e 2019, consentendo l’intervento rapido e la possibilità di intercettare velocemente le cause di tale mortalità e le possibili contromisure da adottare».
Lisa conclude con una segnalazione riguardante i danni causati dai ripetuti ancoraggi (come si vede nella parte conclusiva del video in allegato), in particolare da imbarcazioni e natanti di grandi dimensioni, proprio nei pressi dell'unica P. nobilis ancora viva nell’area dello Scoglietto. «Sono molti anni che, in quest’area di assoluto pregio naturalistico, sarebbe dovuto nascere un piccolo campo boe, regolamentato e a basso impatto ambientale, per limitare i danni degli ancoraggi. Purtroppo, nonostante la buona volontà di alcuni e la disponibilità di Greenpeace e Legambiente, questo non si è ancora realizzato».
Una situazione che mette in evidenza l’insufficienza di una piccola zona di tutela biologica – istituita nel lontano 1971 – nel proteggere davvero il mare ma anche che, nonostante le evidenze di una criticità in atto, come una piccola area tutelata possa dare una flebile speranza per una specie sull’orlo dell’estinzione.
Le Pinne Nobilis che scompaiono dal Mediterraneo ci ricordano che non possiamo più permetterci una gestione del bene comune mare così poco lungimirante e oculata. Come sottolineano anche recenti studi scientifici e la Corte dei conti europea, una tutela del mare con minuscole zone protette serve a ben poco: occorre una rete di Aree marine protette più diffusa, estesa e meglio gestita e la nuova Strategia sulla biodiversità dell’Unione europea ci dice che dovrà coprire il 30% del mare italiano. Solo così riusciremo a dare un futuro alle Pinne Nobilis, al mare e, quindi, a noi stessi.
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