Qualcuno potrebbe obiettare che di questi tempi ci sono problemi più gravi per i quali affliggersi, piuttosto che quelli della salute e della bellezza di uno o più alberi su un'isola meravigliosa, dove non manca di certo né il verde né l'aria pulita... né un pregiato fascino paesaggistico.
Ebbene, ci si può chiedere se le emergenze globali provengano da una profonda crisi etica che stiamo vivendo. A volte ci scordiamo che tutto è collegato... piccolo e grande, vicino e lontano.
Perciò mi chiedo perché la cura del verde pubblico e privato si discosti sempre di più da una visione ecologica e trasformi l'arte del giardinaggio in pura manutenzione, con gran dispiego di motoseghe e altri metodi invasivi. Come mai questa arte perduta stravolge con disinvoltura i suoi principi e le regole di rispetto delle piante? Perché ignora le sue conoscenze profonde, sviluppate ai fini di una convivenza reciprocamente gradita tra le piante e l'essere umano? Infatti, si considera e si esegue la manutenzione del" verde" come se si trattasse di un oggetto inanimato e, senza imbarazzo, spesso si offrono indecorosi scenari di evidente sofferenza che suscitano il turbamento e il malessere degli spettatori. I monconi dei pini in lenta agonia, disseminati su tutta l'isola, ne sono forse il miglior esempio. C'è davvero qualcuno che ancora speri che potranno mai "ricacciare" rami, visto che i pini non sono platani?
Si può fare qualcosa per i platani del viale delle Ghiaie, imbruttiti e fortemente indeboliti dalle ripetute capitozzature che hanno dovuto subire, anche nel periodo di massima vegetazione? Per quanto ho visto di persona, almeno 2 volte negli ultimi anni, a maggio!
Senz'altro vi siete accorti che le loro ombre, di anno in anno, stanno diventano sempre più piccole, incapaci di offrire un sereno ristoro ai passanti durante i mesi più caldi, come facevano una volta. Forse avete anche notato che le foglie delle loro chiome si sono accartocciate e patinate di grigio in segno di malattia. E mentre scrivo, forse vi chiedete anche voi se questi platani non sono già condannati all' abbattimento.
Occorrono forse prove scientifiche (che ovviamente ci sono) per capire che un grande albero non si possa soppiantare, nei termini del benessere che ci procura, con uno giovane? Siamo ancora in grado di percepire cosa ci fa stare bene?
Siamo in grado di proteggere e preservare il nostro patrimonio arboreo che ha impegnato decenni per accrescersi? Patrimonio che sempre più spesso vediamo o sparire o essere sfigurato e danneggiato dalle forti potature e da interventi impropri, sia nelle aree private, sia in quelle pubbliche.
Ho cercato qualche risposta in più su cosa si possa fare, oltre a coltivare il buon senso e a sensibilizzare le persone nell'essere capaci di vedere nelle piante e negli alberi degli esseri viventi sensibili tanto alla sofferenza, quanto al benessere. Cosa si può fare, oltre a diffondere le conoscenze, per invertire la marcia delle potature sconsiderate e per la cura della salute e bellezza degli alberi, delle siepi e dei cespugli che convivono con noi?
Ho cercato, quindi, di capire un po' meglio cosa dicano gli esperti, nel caso specifico, sulla cura dei platani, pensando a quelli del viale delle Ghiaie e a tanti altri già in bella mostra dei monconi dei loro rami. Siano, almeno, amputati a tempo debito, come prescrive la regola delle potature stagionali.
Fatto sta che i platani sono la specie arborea tra le più resistenti alla capitozzatura, ovvero all'asportazione totale della chioma (ai pini invece essa garantisce la fine a breve). Questa pratica di contenimento della chioma dei platani è ancora largamente diffusa nel vecchio continente, ma si tratta di un approccio fortemente contestato dagli arboricoltori, che si impegnano da decenni nel contrastarla. Essi la condannano quasi all'unisono come un intervento obsoleto, indecoroso e molto dannoso per la salute e la stabilità del tronco e dei rami. L'albero capitozzato diventa più pericoloso per la sicurezza delle persone e delle cose di un albero di maggiori dimensioni, cresciuto spontaneamente o potato con i metodi più "tree- friendly". Questi vengono eseguiti solo da professionisti competenti, capaci di preservare la stabilità dell'albero assieme alla grazia e bellezza della sua chioma. Inoltre, gli arboricoltori ritengono questo metodo economicamente ingiustificato, ovvero più costoso a lungo andare, perché l'albero, così danneggiato, richiede ben presto altri interventi.
Gli esperti ci spiegano che, per ripristinare il prima possibile la chioma che gli garantisce la vita, l'albero reagisce alla capitozzatura con la rapida ricrescita di rami fragili, ricoperti di foglie numerose, fitte e straordinariamente grandi.
Questa reazione dell'albero ha dato, purtroppo, origine al luogo comune che potarlo drasticamente gli fa bene e lo rinforza. Per sfatare questo inganno, gli esperti precisano che l'albero, indebolito dalla mancanza di nutrimento determinata dall'insufficiente quantità di foglie, rinuncia a una parte delle sue radici e perde, quindi, la stabilità. Inoltre le ferite aperte attirano agenti patogeni e insetti che lo indeboliscono e danneggiano ulteriormente.
Nel rispetto dei ritmi vitali e della salute degli alberi, la quiescenza invernale sarebbe il periodo ideale per la potatura, anche quella più drastica, dove sia necessaria. Anche la stasi estiva, durante la quale l' albero, per proteggersi dal caldo eccessivo, di nuovo riduce la sua attività, potrebbe essere il periodo giusto per intervenire però con potature leggere.
Queste sarebbero le regole del mestiere da rispettare, per ridurre i danni all'albero ed evitare i pericoli alle persone e alle cose. Mi sembra invece che siano sempre meno praticate nei giardini, siano essi aree pubbliche o private.
Mi auguro, perciò, che i pochi alberi ancora rimasti in città, inclusi i platani delle Ghiaie, del centro storico e tutti gli altri, possano venire gelosamente custoditi e affidati alle attenzioni di arboricoltori professionisti e operatori qualificati, in grado di progettare ed eseguire gli interventi necessari con cura e coscienza.
Ho provato a dirlo con mille parole, spero in un gesto di coscienza e maggior consapevolezza da ognuno di noi.
Ringrazio inoltre per l'esistenza di persone che, con rispetto e gentilezza nonché con amore, accudiscono i "loro" alberi e le altre piante e che si sono adoprati per salvare una palma o sughera, i lecci e altri alberi dalle recenti aggressioni degli insetti o dalle miopi ragioni della comodità umana.
Non vedo dove se no nella cura del nostro ambiente si gioca la possibilità di trovare le soluzioni ragionate e creative che ci vedono protagonisti di un'autentica conversione ecologica locale e globale.
Ina Dubravec