“Non badate se io do un certo valore ai pregiudizi, se mi attengo a certe convinzioni sociali, se cerco la considerazione degli altri: vedo benissimo che vivo in mezzo a una società frivola e vana; ma finora vi sto al caldo, ed è per questo che abbondo in buonsenso e fingo di essere tutto per lei, la qual cosa non m'impedirà di staccarmene alla prima occasione. Le conosco, le vostre idee nuove, benché per me non dicano niente, e pazzo è l'uomo che soffre per esse. Io non ho mai avuto rimorsi, accetto tutto, purché mi ci trovi bene. Io e i miei simili siamo legioni e ci troviamo effettivamente molto bene. Tutto al mondo può perire, noi soli no: viviamo da quando il mondo esiste. L'universo intero può essere inghiottito: noi torniamo a galla, e a galla saremo sempre”.
Sono le parole dello spregiudicato principe Valkovski, personaggio del capolavoro di Fëdor Dostoevskij, “Umiliati e offesi”. E nell'ultimo mezzo secolo avrebbero potuto essere pronunciate da molti borghesi elbani. Che, con questa logica, hanno portato danni al territorio dell'isola.
Ci eravamo lasciati con una domanda in sospeso: se il numero di residenti e turisti è da decenni stabile, perché si continua a costruire? Ci viene in aiuto uno studio dell'ex Comunità montana. La ricerca si concentra sul ventennio 1981-2001. In questo arco di tempo le abitazioni elbane passano dalle 19.464 alle 25.674, circa un terzo in più. Nel documento si legge: “La dinamica è stata molto intensa nei comuni di Porto Azzurro, Rio nell'Elba, Marciana e Marciana Marina che hanno mostrato rispettivamente un incremento del 47,7%, 112,3%, 41,8%, 34,2%”. Colpisce soprattutto il dato di Rio nell'Elba, il comune che nel dopoguerra più di ogni altro all'Elba ha subìto un crollo demografico, quasi un dimezzamento, ma vede più che raddoppiato il numero di case in appena vent'anni.
Peraltro, per quanto tutti i comuni abbiano nella storia dei loro piani urbanistici abnormi colate di cemento (basti pensare al piano Peep di Capoliveri, al centro servizi di Procchio, etc.), gli unici due che hanno messo nero su bianco due operazioni speculative di più ampia scala, sono proprio quelli che meno ne avevano bisogno, a causa dell'emorragia demografica subìta negli anni: il vero e proprio nucleo urbano del Padreterno, a Rio nell'Elba; e quello per fortuna fallito del Villaggio paese di Vigneria. Ma non fatevi troppe illusioni: spesso all'Elba le operazioni speculative non tramontano mai. Rimangono chiuse nei cassetti, fino a che ricicciano per mano di qualche amministratore creativo.
Tanto nel 1981 quanto vent'anni dopo, il patrimonio edilizio elbano era diviso quasi in perfetta parità tra prime e seconde case. Su quanto vada considerato presunto il dato sulle prime case abbiamo già visto in un capitolo precedente. Aggiungo solo che gli incrementi di prime e seconde case variano anche in maniera notevole tra comune e comune, dimostrando ulteriormente quali comuni sono stati più lassisti di altri nel rilasciare residenze.
Il dato sulle abitazioni considerate seconde case passa dalle 9.633 del 1981 alle 12.965 del 2001, con un aumento appena più consistente rispetto alle prime case, circa il 34%. Significativa è anche la variazione di superficie edilizia occupata in metri quadri: quella delle prima case passa dai 281.127 del 1981 ai 370.007 del 1991 (purtroppo non vengono forniti i dati del decennio successivo), ovvero un aumento del 31,6%; quella delle seconde case passa dai 714.513 del 1981 ai 895.058 del 2001, in aumento del 25,3%.
Riassumendo tutti i dati, e facendo un calcolo di massima, nel 2001 tutte le abitazioni all'Elba occupavano una superficie di circa 138 ettari.
Uno 0,6% dell'intera superficie elbana coperto da sole case. Un consumo di suolo che per più della metà o è produttivo solo per brevi periodi o è addirittura sprecato per nessuna esigenza abitativa o turistica. E stiamo parlando di una situazione di ben vent'anni fa e oggi non certo in diminuzione. Ma va anche detto che per quanto oggi si avvicini all'1%, è una percentuale che ci consente ancora di salvare il salvabile. A patto che le politiche comunali inizino a cambiare paradigma.
Un altro dato da considerare è il valore degli immobili dell'Elba.
Secondo il portale immobiliare.it, che monitora il mercato mensilmente, nel mese di dicembre 2022 i dati erano questi: il comune più “economico” era Rio con una quotazione di poco meno di 3mila euri a metro quadro; decisamente sopra sono tutti gli altri, intorno ai 3600 euri; sfiorando i 4mila a Capoliveri e Marciana Marina. Se consideriamo il dato medio della provincia di Livorno, 2.260 al metro quadro, e quello toscano, 2.494 al metro quadro, si vede subito che investire all'Elba è decisamente un affare. In Italia poche altre aree hanno valori superiori: in Toscana solo i comuni della Versilia e pochissimi altri superano i 4mila euri. Niente male, se si considera che all'Elba non ci sono residenze storiche di pregio, né aree di rilevanza architettonica di alto valore.
Se ci manteniamo sulla quotazione media di 3600 euri al metro quadro e ci limitiamo ai dati delle seconde case del 2001, significa che all'Elba il patrimonio immobiliare potenziale si aggira sui 5 miliardi di euri. Probabilmente superiore a quello di non pochi stati poveri del pianeta.
Da questi dati si vede che costruire all'Elba è un affare lucroso. Si compra un nudo terreno, si sfruttano sette politiche comunali pressoché simili nel lassismo edilizio, e si entra in un mercato florido. E se anche si costruisce abusivamente... siamo in Italia. Cioè il paese del condono continuo. Una sanatoria edilizia di un immobile, anche se dispendiosa, è una bazzecola laddove il proprietario sappia di mettere il suddetto immobile in un mercato redditizio. Sia esso quello, già analizzato, degli affitti estivi, sia quello immobiliare. È la scoperta dell'Eldorado.
La risposta alla domanda appare ora semplice, e dobbiamo dirla in maniera brutale. All'Elba si è costruito e si continua a costruire, a consumare territorio, a distruggere ambiente, perché quest'isola è stata data in sacrificio al mercato immobiliare. È stata letteralmente prostituita al dio cemento.
Andrea Galassi