Le stelle sono tante, milioni di milioni… declamava una storica pubblicità e lo spettacolo che ci donano è incommensurabile. Margherita Hack citando Seneca disse: “Se le stelle, anziché brillare continuamente sopra le nostre teste, fossero visibili solo da un particolare luogo del pianeta, tutti vorrebbero andarci per assistere allo spettacolo”. Sin dall’antichità l’essere umano ha cercato di osservarle e di studiarle, ed oggi, grazie alle sofisticate tecnologie a nostra disposizione, capendo le stelle è addirittura possibile fare passi da giganti nella comprensione dell’evoluzione del mondo.
Io ho provato a scrivere una singola “Pillola di Scienza” su questo argomento, ma mi sono presto accorto che era necessario spezzare in due il racconto. Ecco qua la prima di due pillole che riguardano le stelle da noi più lontane, per capire le quali dobbiamo in realtà partire non solo da quelle a noi più vicine, ma addirittura dalle cose che ci circondano qua, sulla Terra: noi vediamo le stelle perché emettono luce e quella luce è la grandezza da noi utilizzabile per misurare e comprendere.
Con il termine ‘luce’ indichiamo quella parte della radiazione elettromagnetica percepibile dal nostro occhio (1), il quale ad esempio non riesce a vedere quella ultravioletta, come ci ricorda il nome stesso: ‘ultra’+‘viola’, al di là del viola. Esattamente all’altro confine abita la radiazione infrarossa, anch’essa non percepibile dal nostro occhio perché ‘infra’+’rosso’, al di sotto del rosso. In mezzo si trova tutto ciò che l’occhio riesce a vedere, sostanzialmente tutte le sfumature dell’arcobaleno. L’insieme delle radiazioni visibili è detto ‘lo spettro del visibile’ ed è ...visibile nella figura 1:
Figura 1. In alto è riportato l’intero spettro delle radiazioni conosciute, il cui inserto ingrandito in basso riguarda la (piccola) porzione della luce visibile con tutte le lunghezze d’onda che vanno dal viola scuro al rosso cupo.
E visto che siamo a parlare di luce, una nota di colore :-) che divaga un po’ dal tema principale: considerare la luce come una porzione della radiazione elettromagnetica è un concetto talmente radicato negli ingegneri elettronici e nei fisici che se si chiede loro qual è il proprio colore preferito, vi risponderanno con un numero, non con un sostantivo tipo “azzurro” o “rosso” (ad esempio il mio colore preferito è la radiazione a 616 nanometri). Se ci pensiamo bene, tutto questo pare bizzarro ma è decisamente corretto! Infatti “azzurro” o “rosso” sono nomi associati ad una certa luce non meglio definita. Prova di persona: qual è l’azzurro nella figura 1 ? Quale il rosso ?
A parte questi aspetti divaganti, lo spettro luminoso, come si può intuire, è fondamentale per lo studio degli oggetti celesti, emittenti luce o meno. Normalmente la luce di una sorgente appare bianca e viene separata nelle varie lunghezze d’onda se attraversa un prisma ottico che può essere artificiale, come quello in figura 2, oppure naturale, come le goccioline ancora in sospensione nell’aria dopo la pioggia che generano un meraviglioso arcobaleno:
Figura 2. Il passaggio di luce bianca in un prisma separa la luce bianca mostrando l’intero spettro del visibile. Questa immagine è talmente affascinante che persino i Pink Floyd ne hanno fatto la copertina del loro famoso album “The dark side of the moon”.
Le sorgenti di luce si suddividono in ‘dirette’ ed ‘indirette’. Sono esempi di sorgente di luce diretta una lampadina, una candela, una fiamma, il Sole, le altre stelle, tutti corpi in grado di emettere la radiazione luminosa in modo autonomo. Curiosamente, sono pure sorgenti dirette le lucciole e alcune creature bioluminescenti abissali. Quelle ‘indirette’ sono semplicemente tutti gli oggetti che siamo in grado di vedere fin tanto che una sorgente luminosa esterna li illumina.
Infatti quando la luce colpisce un corpo, essa viene in parte assorbita, in parte riflessa e per taluni corpi in parte trasmessa al di là dei corpi stessi (ad esempio il vetro opaco degli occhiali da Sole viene attraversato completamente da certe lunghezze d’onda della luce e difatti indossandoli riusciamo a vedere ciò che ci circonda). In particolare se un corpo appare di un certo colore significa che tutte le lunghezze d’onda sono assorbite a meno di quelle corrispondenti a quel colore, che vengono riflesse (emesse), come visibile in figura 3:
Figura 3. La luce solare che colpisce questa pianta fiorita è assorbita a meno delle lunghezze d’onda del rosso, emesse dai fiori, e del verde, emesse da fusto e foglie. Anche il terreno appare marrone perché tutte le altre lunghezze d’onda sono da esso assorbite.
Parlando di sorgenti indirette, il tipico esempio astrale è la luna che vediamo solo se e quando la luce del Sole la raggiunge e da essa viene riflessa verso la Terra. Ma sono sorgenti di luce indirette anche il piatto in cui mangiamo, la sedia, un’auto, tutte le altre cose che possiamo ‘vedere’.
E veniamo dunque a ragionar di stelle e della loro luce. Lo facciamo allontanandoci pian piano dai corpi a noi più vicini. Ad esempio, se una persona di fronte a noi ci fa l’occhiolino noi percepiamo il suo sbattere di ciglia come immediato e diciamo che avviene “in tempo reale” (2). Questo grazie al fatto che la luce riflessa dal suo viso arriva ai nostri occhi molto rapidamente poiché deve percorrere una distanza irrisoria, il paio di metri che separano i nostri occhi dal viso di chi ci sta facendo l’occhiolino.
Se la luce proviene da più lontano, però, le cose cambiano. Pur viaggiando all’incredibile velocità di circa 300.000 chilometri al secondo se il corpo da cui proviene è abbastanza lontano, allora il tempo impiegato a raggiungerci comincia a diventare non trascurabile. Ad esempio la bellissima fotografia del Sole di figura 4, scattata dal maestro Massimo Forti, ci mostra le sue enormi esplosioni di fusione nucleare. Nell’istante in cui la fotografia fu scattata e memorizzata nella macchina fotografica, tuttavia, era già “vecchia” di circa 8 minuti e 20 secondi, che corrisponde al tempo che la luce impiega a percorrere la distanza di 150 milioni di chilometri che mediamente separa la Terra dal Sole:
Figura 4. Al momento dello scatto questa fotografia ha memorizzato com’era il Sole circa 8 minuti e 20 secondi prima. Tanto impiega la luce emessa dalla nostra stella a raggiungere la Terra. Credit: maestro Massimo Forti.
È certamente difficile percepire le distanze fra i corpi celesti, anche fra quelli del nostro sistema solare. Quella “grande palla infuocata” che sorge ogni mattina (come diceva il mitico Tex Willer dei fumetti) sembra lì, vicinissima. E invece si pensi che se la Terra fosse grande quanto una palla da tennis, il Sole sarebbe a circa 820 metri di distanza. Ciò significa che se il mini-Sole fosse posizionato al faro di Portoferraio, la Terra-palla-da-tennis risulterebbe al centro dei giardini delle Ghiaie. Cerchiamo di visualizzare questa situazione e di concretizzarla nella nostra mente: un pallone da basket al faro di Portoferraio corrisponde al Sole, una pallina da tennis nel giardino delle Ghiaie corrisponde alla Terra. Intorno solo spazio.
E se per caso fossimo meravigliati da questa analogia, peggio ancora pensare alle stelle. Quella più vicina a noi è Proxima Centauri, anche nota come stella C dell’insieme di stelle chiamato Alpha Centauri. Il nome è quindi etimologico e quel latino ‘proxima’ evoca la vicinanza a noi. Purtuttavia ‘vicinanza’ è un termine molto relativo, giacché questa stella dista da noi la bellezza di circa 4.25 anni luce, una misura enormemente superiore a quelle già enormi del nostro sistema solare: se la Terra fosse ancora una pallina da tennis, Proxima Centauri sarebbe una pallina posizionata alla bellezza di 221000 chilometri di distanza!
Quanto impiega la luce emessa da Proxima Centauri a raggiungere la Terra ? Beh, proprio 4.25 anni. E così quando noi osserviamo questa stella, la più vicina a noi, non la vediamo così come è oggi, ma com’era 4.25 anni or sono. Noi osserviamo la luce che è partita dalla stella 4.25 anni fa e ci ha raggiunto proprio ora.
Le galassie sono ancora più lontane, milioni di anni luce. Ad esempio la galassia a noi più vicina, Andromeda, dista da noi circa 2.5 milioni di anni luce. Il gruppo di galassie della Vergine è il più grande cluster di galassie a noi vicino e si trova a circa 60 milioni di anni luce di distanza. Ciò significa che la luce che ci raggiunge oggi da quelle galassie è partita da là più o meno quando sulla Terra stava per chiudersi l’era dei dinosauri. Se su una galassia della Vergine ci fosse oggi un extraterrestre con un telescopio fantastico potentissimo rivolto verso di noi, quell’extraterrestre non vedrebbe noi, ma i rettili preistorici come il famoso Tyrannosaurus Rex (3).
Che implicazioni ha tutto questo ? Implicazioni formidabili.
Innanzi tutto, osservare le stelle lontane nello spazio celeste corrisponde ad osservare eventi lontani nel tempo. Spazio e tempo sono intimamente connessi.
In secondo luogo, l’uomo si è chiesto: ma è dunque possibile osservare stelle così lontane che la luce che ci arriva oggi sia quella da esse partita pochi istanti dopo il Big Bang ? O addirittura prima di questo, se ci fu un ‘prima’ ?
Gli scienziati si sono messi al lavoro per rispondere a queste intriganti domande e pletore di ingegneri e fisici hanno fatto il ‘miracolo’ costruendo uno strumento potentissimo che sarà l’oggetto della seconda e conclusiva parte di questa ‘pillola di Scienza’: il James Webb Space Telescope.
Marco Sartore
(1) James Walker, “Fisica”, Vol.2, Termologia, Onde, Relatività. Ed Zanichelli ISBN 88-08-11684-0
(2) Il concetto di “tempo reale” è anch’esso formalizzato in modo preciso e, guarda caso, in modo diverso dall’uso comune del termine, in base a cui se una cosa succede in tempo reale significa che avviene molto velocemente. Invece tecnicamente un evento avviene in tempo reale se si manifesta entro un intervallo di tempo inferiore a quello necessario al sistema per cambiare il proprio stato. In questa accezione tempo reale e velocità non sono manco lontani parenti: per un sistema lento, il tempo reale può durare, minuti, ore, giorni.