Quella che si è svolta quest'anno a Pianosa, dal 18 settembre al 15 di ottobre è stata la seconda campagna di scavi presso la Grotta di Cala di Biagio, poco a nord di Punta Secca. La campagna precedente si era svolta lo scorso anno, più o meno nello stesso periodo, ma era durata solo 15 giorni.
Lo scavo è mirato al recupero e alla determinazione di numerosi resti di vertebrati terrestri contenuti nei sedimenti che riempiono parte della grotta stessa. Di tali resti si conosceva la presenza sin dalla fine del 'Ottocento, quando l'Abate Don Gaetano Chierici (di cui si è da poco chiusa la mostra in Pianosa) scavò una porzione della grotta per ricavarne alcuni resti preistorici. L’Abate citò i resti di vertebrati, ma non interessandosi al tema li trascurò sospendendo lo scavo.
Durante una ricognizione della Soprintendenza Archeologica della Toscana di alcuni anni fa, furono rilevate le potenzialità paleontologiche di questi reperti e in base a queste evidenze l’Università di Siena, e in particolare il Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente, su richiesta del sottoscritto, ha deciso di inoltrare alla Soprintendenza Archeologica della Toscana la domanda di concessione e con ciò sono diventato il responsabile sul campo del progetto, cioè Direttore di Scavo.
I lavori di quest’anno sono risultati molto più proficui e interessanti di quelle dello scorso anno, quando prestammo molto del tempo alla organizzazione del cantiere di scavo, una operazione non facile. Con gli altri addetti ai lavori, ho agito in uno spazio angusto, con personale volontario di elevata professionalità dell’Università di Siena (Stefano Ricci, Giulia Capecchi, Simona Arrighi, Gianpaolo Spinelli, Marco Meccheri, Maria Luisa Antompaoli, Enrico Capezzuoli)e di quella di Catania (Gloria Ristuccia) che si è occupata, oltre che dello scavo, di alcune campionature mirate alla datazione, con sistemi molto moderni, dei sedimenti La datazione dei reperti è infatti un elemento molto importante della ricerca che potrebbe confermare le attuali interpretazioni, oppure aprirne di nuove.
Con lo scavo vengono estratti, anche mediante setacciatura dei sedimenti (questa operazione richiede l’impegno di più persone e viene svolta all’esterno della grotta), tutti i resti fossili, anche quelli microscopici, con dimensioni fino ad un paio di millimetri. Durante le operazioni di quest’anno sono stati raccolti migliaia di reperti, ma certamente solo alcuni di questi sono risultati immediatamente di elevato interesse, come alcune ossa intere e ben quattro crani di cervidi di piccole dimensioni, 3 maschi e una femmina, la cui determinazione a livello specifico sarà uno dei principali obiettivi dello studio in laboratorio. La presenza di questi animali nel passato di Pianosa era stata documentata anche dai vecchi autori, ma questi reperti sono di gran lunga più completi e interessanti di quanto trovato fino ad oggi e scioglieranno molti dei dubbi che coinvolgevano sia la specie di appartenenza che il contesto ambientale nel quale vivevano questi animali. La loro presenza, infatti, mal si colloca in una situazione insulare come quella attuale e prevedrebbe invece un collegamento diretto di Pianosa con il continente, evento che si è realizzato nell’ultimo periodo glaciale, circa 18.000 anni fa, quando il livello marino era di oltre 100 m più basso di quello attuale. Una conferma dell’età di questi reperti verrà però dalle analisi di laboratorio e occorreranno alcuni mesi di tempo.
La grotta è molto suggestiva, essa è di origine carsica, ammantata perciò da numerosi rivestimenti calcarei biancastri, mentre i sedimenti contenenti i resti di vertebrati sono rossi, creando perciò un suggestivo contrasto cromatico esaltato dalle luci artificiali (nella parte più interna, infatti non entra la luce diretta del sole e occorre illuminarla artificialmente con un generatore di corrente). La presenza di alcuni reperti anche molto suggestivi dal punto di vista estetico ci ha spinto a cambiare in corsa le impostazioni dello scavo, limitando le estrazioni di materiale al minimo indispensabile per lo studio di laboratorio, nella speranza che il sito possa essere musealizzato e perciò reso visitabile al pubblico, e di questa possibilità è stato al momento informato l’Ente Parco, che pur rilevando le immancabili difficoltà nel rendere sicuro e accessibile un sito di questo tipo, si è dimostrato molto favorevole. Se si potesse raggiungere questo obiettivo, si otterrebbe il massimo del risultato: aumenteremmo la conoscenza del nostro arcipelago, manterremmo in Pianosa le sue ricchezze naturali rendendole anche visibili al pubblico. I fondi che rendono possibile il lavoro, molto pochi, sono quelli dell’Università di Siena. Il lavoro sul campo è stato però possibile grazie alla sensibilità del Comune di Campo nell’Elba, della Amministrazione Penitenziaria e della Associazione per la Difesa dell’Isola di Pianosa che hanno fornito un tangibile supporto nella sistemazione logistica dei volontari che hanno partecipato allo scavo, ai quali va comunque il grande merito della riuscita della ricerca. Persone con elevate qualifiche (indicati spesso col brutto termine di precari) mossi esclusivamente dalla loro passione, disposte anche a pesanti sacrifici pur di operare in questo settore della ricerca.
Luca Maria Foresi
Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente
Università di Siena